Imprenditori cinesi ai domiciliari continuavano a sfruttare operai

Erano agli arresti domiciliari in seguito alle indagini scattate dopo l’accoltellamento di un loro dipendente nell’azienda tessile di Prato(città notoriamente “cinesizzata”), ma continuavano a portare avanti la loro attività come se niente fosse successo. Per tale motivo la procura ha disposto il sequestro preventivo in via d’urgenza delle quote sociali e della sede dell’impresa (indotto nella fabbricazione tessile)”Arte Stampa srl”, una stamperia per abiti da donna gestita dai due imprenditori cinesi dove la notte fra il 25 e il 26 gennaio scorsi un operaio era stato ferito gravemente da un collega.

Il nuovo provvedimento è stato emesso per i reati di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo, nonché di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: indagati a vario titolo il titolare di fatto e il suo principale referente nella gestione dell’impresa. Nonostante fosse stata emessa per entrambi la misura cautelare degli arresti domiciliari per il delitto di assunzione di persone prive del permesso di soggiorno, già confermata dal tribunale del riesame, la stamperia era rimasta aperta e aveva continuato a produrre. Da qui, riferisce la procura di Prato, la necessità di un provvedimento di sequestro.

Le indagini hanno individuato, evidenzia il procuratore Luca Tescaroli(sopra, in foto), «una condizione di sfruttamento lavorativo nei confronti di 14 dipendenti di nazionalità cinese privi di permesso di soggiorno e di almeno 4 ulteriori regolarmente presenti nel territorio dello Stato». I fatti risalgono al 26 gennaio, quando il cinese ferito era arrivato in Pronto Soccorso con diverse ferite da taglio all’addome. Era stato proprio il ferito con la sua dichiarazione a portare i carabinieri all’arresto del collega aggressore. La vittima, un operaio impiegato nel turno di notte, fu salvato dopo un lungo intervento chirurgico. L’uomo, appena ripresosi, iniziò a collaborare con la giustizia contribuendo a far scoprire anche le condizioni di sfruttamento a cui erano sottoposti i lavoratori come lui. Ne è uscito fuori un quadro di diritti calpestati e regole volontariamente inosservate.

I militari , giunti nell’azienda, hanno scoperto le molte irregolarità e le condizioni di sfruttamento degli operai. La stamperia era sorvegliata all’ingresso da alcune telecamere, non per motivi di sicurezza ma per sventare gli eventuali controlli a sorpresa. Un “sistema” ben collaudato nel distretto pratese, dove gli operai in nero vengono fatti fuggire attraverso un’uscita secondaria se al citofono si presentano le forze dell’ordine. Un sotterfugio che però in questo caso non ha funzionato.

Altri sette operai, in seguito, hanno descritto le condizioni lavorative estreme in cui versano: turni massacranti di almeno 12 ore, sette giorni su sette, con retribuzione non congrua (una piccola parte con bonifico, la parte più consistente in contanti) e condizioni igienico sanitarie precarie. Un gruppo di lavoratori era addirittura costretto a dormire sul luogo di lavoro, è una pratica questa molto diffusa tra i cinesi.

La volontà di collaborare per individuare le responsabilità degli imprenditori cinesi è emersa con tutta probabilità dopo un appello che era stato lanciato dallo stesso procuratore. Tescaroli aveva infatti ricordato che collaborare con la giustizia italiana comporta – per chi denuncia e testimonia le situazioni – il vantaggio di ottenere un permesso di soggiorno regolare e protetto proprio per la collaborazione data. Un incentivo sociale che merita plauso.

Purtroppo lo sfruttamento di lavoratori immigrati irregolari è una piaga che affligge l’Italia in tutto il suo territorio,  per lo più nel comparto tessile o l’import- export, ma anche manodopera edile e agricola, a seconda delle etnie coinvolte.

La mafia cinese allunga sempre di più i suoi tentacoli sull’Italia, con un salto di qualità che la vede alleata delle tradizionali mafie storiche, come camorra e ‘ndrangheta, con la complicità di professionisti esperti in riciclaggio ed evasione fiscale. È questo l’allarme lanciato dal Dott. Luca Tescaroli, procuratore capo a Prato dal luglio 2024, alle prese con episodi gravi come incendi ad aziende, minacce di morte, sfruttamento sistematico di lavoratori, riciclaggio.

Il Procuratore aggiunge, inoltre: «La mafia cinese è un pericolo concreto e non da oggi. D’altronde già nelle carte del maxi-processo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino entrava la pista del traffico di stupefacenti tra Bangkok-Roma-Palermo, il cui terminale in Thailandia veniva identificato nel cittadino cinese, detto appunto dai suoi sodali italiani “il cinese”, Koh Bak Kin. Una struttura che a cavallo degli anni 70 e 80 ha reso una fortuna al clan mafioso di Rosario Riccobono, smantellato, almeno nella sua dimensione transnazionale, dai mandati del pool del maxiprocesso. E se Koh Bak Kin era il terminale di Cosa Nostra in Thailandia, il “capo dei capi” di quella organizzazione con base in Thailandia era un altro cittadino cinese: Chang Chi Fu»…”la criminalità cinese ha conquistato spazio significativo e ha rapporti con altre realtà criminali: con la ‘ndrangheta, la camorra, la sacra corona unita. Ha la capacità di relazionarsi anche con esponenti di gruppi criminali albanesi. Inoltre è caratterizzata da forte omertà e assoggettamento all’interno e coltiva rapporti con appartenenti delle forze dell’ordine e delle istituzioni”.

(Fonti: Avvenire, Corriere della Sera)

Da Nicola Gallo

Partenopeo, diploma di Maturità Classica (Lic.Stat. G.B.Vico), Laurea in Scienze Politiche conseguita presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Frequentazione parziale di Belle Arti. "Per aspera ad Astra, ad Astra ad Infinitum". Informare è un dovere, è un diritto. Informare ed essere informati, per il bene di tutti.