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Tasse: ultimatum!

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Si accende la partita del concordato preventivo biennale per gli autonomi. Governo e maggioranza contano di ricavare almeno 2-3 miliardi per reperire le risorse necessarie a estendere la riduzione dell’Irpef fino a 60mila euro di reddito annuo lordo. Sollecitare le adesioni, pertanto, è imperativo. Ecco perché se da un lato si sono introdotte notevoli migliorie alla normativa (dalla flat tax incrementale alla possibilità di sanare con un’aliquota di vantaggio le imposte non versate dal 2018 al 2023), dall’altro lato – come ha esplicitato lo stesso viceministro dell’Economia Maurizio Leo qualche giorno fa – i contribuenti devono comprendere che l’alternativa al concordato è l’ingresso in un regime di controlli stringenti, una «lista speciale» ai cui componenti sarà perdonato poco o nulla. Da venerdì scorso nei cassetti fiscali dei contribuenti partite Iva è presente una nota sintetica dell’Agenzia delle Entrate che spiega i benefici dell’adesione e il rischio di incorrere nei controlli se si resta fuori. I destinatari, come detto, sono 2 milioni di autonomi.

E’ necessario ricordare che dire sì al concordato comporta l’esclusione dagli accertamenti indipendentemente dall’indice di fedeltà fiscale (ovviamente sono esclusi i condannati per riciclaggio). Eventuali aumenti di reddito nel 2025 rispetto all’anno in corso vengono tassati ad aliquota di vantaggio e, come detto, nei sei anni dal 2018 al 2023 si possono sanare con un’aliquota di favore che decresce all’aumentare del punteggio Isa. Questa novità, introdotta con un emendamento al dl Omnibus che sarà votato in commissione in settimana, amplia il raggio d’azione del concordato in quanto optare per questo regime e denunciare eventuali manchevolezze non determina un profluvio di accertamenti sul pregresso (come accaduto, per esempio, nelle versioni successive alla prima della voluntary disclosure).

Toti afferma: non serve aumentare le tasse, serve produrre di più.

Il pressing del governo sulle partite Iva è legittimato dall’obiettivo è di abbassare dal 35% al 33% l’aliquota Irpef tra 28 e 50mila euro, magari estendendola fino a 60mila euro di reddito. Secondo il viceministro Leo, servono «tra 2,5 e 4 miliardi di euro». Per aderire al concordato resta ancora poco più di un mese (il termine è il 31 ottobre) e sono circa 4 milioni le partite Iva che possono siglare il patto con il fisco. «C’è grande interesse», ha assicurato Leo, «ma se il contribuente non considera congrua la proposta e non aderisce entrerà in una lista selettiva» e «se non ha correttamente dichiarato i propri redditi, sarà sottoposto ad accertamento».

Nel frattempo, al Tesoro si attende con trepidazione la revisione Istat delle stime annuali che dovrebbe riservare un ricalcolo al rialzo del Pil degli anni scorsi con evidente impatto positivo sul 2024 e anni successivi. Questi dati consentiranno di completare il quadro macroeconomico tendenziale e programmatico del Piano strutturale di bilancio. Una volta scritte le cifre e delineato un andamento più favorevole di deficit/Pil e debito/Pil, il documento passerà nuovamente al vaglio del Consiglio dei ministri e poi sarà inviato al Parlamento che, votate le proprie risoluzioni, ne consentirà l’invio alla Commissione europea a Bruxelles.

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