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Trump ottiene “parziale immunità”

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La Corte Suprema ha deciso che Donald Trump ha una parziale immunità

Il caso era stato sollevato a febbraio dai legali dell’ex presidente nel processo per l’assalto al Congresso: la decisione porterà probabilmente a un nuovo rinvio, dopo le elezioni.

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso che gli ex presidenti, e quindi Donald Trump, hanno diritto a una parziale immunità nell’esercizio delle loro funzioni: non possono quindi essere processati per i loro atti ufficiali. Era una delle decisioni più attese della Corte, che doveva stabilire se un presidente possa essere processato per le sue azioni quando è in carica. La Corte aveva deciso di occuparsene a febbraio su richiesta degli avvocati di Trump, che è imputato in tre processi penali ed è già stato condannato in uno. Questa decisione potrebbe avere grandi ripercussioni sulla campagna elettorale in corso per le elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, con Trump è candidato per il Partito Repubblicano.

La decisione della Corte Suprema riguarda il processo in cui Trump è accusato di aver cospirato per sovvertire il risultato delle elezioni del 2020. Stabilisce che per alcuni degli atti oggetto del processo possa godere dell’immunità, ma specifica che non tutti gli atti sono ufficiali e che l’immunità non vale per quelli non ufficiali. L’immunità è definita «assoluta» per gli atti ufficiali.

La decisione è stata presa a maggioranza, sei voti contro tre, e rimanda alle corti di livello inferiore per definire quali atti siano ufficiali e quali no. Dovrà essere la giudice distrettuale Tanya Chutkan, titolare del caso a Washington, a stabilire quali azioni erano atti ufficiali e quali comportamenti non ufficiali, e non potrà «indagare sulle motivazioni del presidente», secondo la sentenza della Corte. Probabilmente questo causerà un ulteriore rinvio del processo, che non si chiuderà prima delle elezioni.

Trump ha immediatamente commentato la sentenza sul suo social network “Truth”, definendola una «grande vittoria», mentre la giudice della Corte Suprema Sonia Sotomayor (di orientamento progressista) ha letto un documento in cui spiega le ragioni del suo dissenso dal parere della maggioranza. Scrive che la sentenza «ridisegna l’istituzione della presidenza e si fa beffe del principio che nessun uomo è al di sopra della legge».

La questione della possibile “immunità totale” di un presidente degli Stati Uniti per gli atti commessi durante il suo mandato era stata sollevata dagli avvocati di Trump nelle fasi preliminari del processo. La tesi della difesa era che un presidente dovrebbe essere immune da ripercussioni legali per i propri atti, anche quando questi sono crimini perseguibili. L’interpretazione più radicale di questo principio renderebbe un presidente immune anche se ordinasse l’omicidio di un rivale politico, oppure organizzasse un colpo di stato.

È un tema su cui i giuristi statunitensi discutevano da decenni ma che finora non aveva mai avuto risvolti pratici: Trump è il primo presidente imputato in un processo penale (e dopo il processo di New York il primo a essere stato condannato), e quindi il primo per il quale è stato necessario affrontare realmente il problema dell’immunità.

Attualmente Donald Trump è indagato in tre processi penali. Il caso per il quale aveva chiesto l’immunità riguarda l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021( Capitol Hill), nel quale Trump è accusato di aver cercato di sovvertire il risultato delle elezioni presidenziali del 2020, che aveva perso contro Joe Biden. Il processo contro Trump era cominciato nel 2023, ma a dicembre una giudice federale aveva respinto la richiesta di immunità per Trump e i suoi legali avevano fatto appello: il caso era poi arrivato fino alla Corte Suprema, il più importante tribunale degli Stati Uniti per ciò che riguarda le leggi emanate nel paese e il loro rapporto con la Costituzione.

La decisione presa oggi riguarda Trump nell’immediato, ma avrà ripercussioni anche sui presidenti futuri, nonché sul bilanciamento dei poteri nel governo degli Stati Uniti. Nel caso specifico causerà un ritardo di mesi nel proseguimento del processo contro Trump, che con ogni probabilità si concluderà dopo le elezioni di novembre. Se Trump vincesse le prossime elezioni presidenziali potrebbe a quel punto ordinare al dipartimento di Giustizia (di cui lui nominerebbe il segretario) di ritirare le accuse contro di lui, o comunque potrebbe provare a far rinviare il processo fino alla fine del suo mandato.

Ecco un esempio di come la democrazia e le leggi non siano ancora evolute. In questo caso, a essere oggetto del paradosso costituzionale è la figura del Presidente, che va ricordato, è colui che ha la famigerata valigetta col “pulsante atomico”.

Come ho già riferito sull’inadeguatezza di Biden, anche con Trump la scelta “obbligata” dimostra l’inefficienza della partitocrazia, che rallenta il processo democratico, e in casi di “cesarismo” diventa selezione del male minore.

Mala tempora currunt, etiam in USA.

(Fonte:IL POST)

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