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Omicidio Giulia Cecchettin, parla Filippo Turetta dal carcere

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Filippo Turetta racconta la morte di Giulia Cecchettin. I regali rifiutati da lei, la rabbia cieca quando capisce di averla persa, il coltello che affonda mentre lei grida “aiuto” e tenta di parare i colpi inferti. Nel racconto di Turetta emerge l’angoscia degli ultimi momenti di vita della 22enne di Vigonovo (Padova), laureanda in Ingegneria Biomedica uccisa dall’ex fidanzato e compagno di studi l’11 dicembre 2023.

Nel carcere di Verona, durante l’interrogatorio davanti al pubblico ministero di Venezia Andrea Petroni, il giovane ricostruisce la serata trascorsa a fare spese e la cena in un centro commerciale a Marghera, poi il viaggio di ritorno con l’auto che si ferma in un parcheggio a 150 metri dalla casa di Giulia. «Volevo darle un regalo, una scimmietta mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un’altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto d’illustrazione per bambini. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava sentendo con un altro ragazzo» dice nel verbale il cui contenuto è stato diffuso da “Quarto grado”. La lite diventa aggressione. «Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. Lei ha risposto decisa che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina, gridando “Sei matto, vaffa…, lasciami in pace”» racconta il 22enne al pm.

«Ero molto arrabbiato. Prima di uscire anch’io, ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore. L’ho rincorsa, l’ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella destra. Lei urlava aiuto ed è caduta. Mi sono abbassato su di lei, le ho dato un colpo sul braccio, mi pare di ricordare che il coltello si sia rotto subito dopo. Allora l’ho presa per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva. Ha sbattuto la testa. L’ho caricata sul sedile posteriore». Urla udite da un testimone, ma non sufficienti a salvarla.

Filippo Turetta guida l’auto per circa 4 chilometri: dal parcheggio in via Aldo Moro a Vigonovo verso un luogo più isolato, nella zona industriale di Fossò. «Mentre eravamo in macchina lei ha iniziato a dirmi “cosa stai facendo? Sei pazzo? Lasciami andare”. Era sdraiata sul sedile, poi si è messa seduta. Si toccava la testa. All’inizio pensavo solo a guidare. Poi ho iniziato a strattonarla e tenerla ferma con un braccio. C’eravamo fermati in mezzo alla strada, ho provato a metterle lo scotch sulla bocca, non mi ricordo se se l’è tolto o è caduto da solo perché non l’avevo messo bene. Si dimenava. È scesa e ha iniziato a correre. Anch’io sono sceso».

Un tentativo di mettersi in salvo ripreso da una telecamera di una ditta (inquadra Giulia alle 23.40) che anticipa l’atto finale. «Avevo due coltelli nella tasca in auto dietro al sedile del guidatore. Uno l’avevo lasciato cadere a Vigonovo. Ho preso l’altro e l’ho rincorsa. Non so se l’ho spinta o è inciampata. Continuava a chiedere aiuto. Le ho dato, non so, una decina, dodici, tredici colpi con il coltello. Volevo colpirla al collo, alle spalle, sulla testa, sulla faccia e poi sulle braccia».

L’autopsia rivela 75 coltellate e una morte per shock emorragico( copiosa perdita di sangue) provocato dal colpo inflitto alla testa e dalle coltellate. «Mi ricordo che era rivolta all’insù, verso di me. Si proteggeva con le braccia dove la stavo colpendo. L’ultima coltellata che le ho dato era sull’occhio. Giulia era come se non ci fosse più. L’ho caricata sui sedili posteriori e siamo partiti. Avevo i vestiti abbastanza sporchi del suo sangue» confessa l’imputato che dopo essersi disfatto del corpo dell’ex fidanzata, abbandonato vicino al lago di Barcis, si arrende solo una volta giunto in Germania dopo una fuga di sette giorni e mille chilometri.

La procura gli contesta l’omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà e legame affettivo, e i reati di sequestro di persona, occultamento di cadavere e porto d’armi. Dall’ indagine emerge che Filippo Turetta spiava la vittima con un’applicazione sul suo cellulare e che avrebbe pianificato l’omicidio dall’inizio di novembre, comprando il nastro adesivo per impedirle di urlare, prendendo “appunti” al pc su come legarle mani e piedi, preparando vestiti, soldi e provviste per la fuga, studiando mappe per celare il corpo e agevolare la fuga. Sembrerebbe un piano studiato, ma sulla premeditazione l’indagato si difende e davanti al pm sostiene di aver comprato all’ultimo momento il nastro adesivo «se mai fosse servito per attaccare il papiro della laurea di Giulia» (prevista cinque giorni dopo il delitto), che i coltelli erano della «cucina di casa mia. Li avevo messi in macchina perché avevo anche avuto pensieri suicidi» e «i vestiti sporchi di sangue li ho cambiati con altri che avevo in macchina. In auto ho sempre un cambio, coperte, qualcosa da mangiare e da bere».

Il racconto lucido di un giovane mostro innamorato, a modo suo, di un amore tossico che ha avvelenato l’intera Italia.

Donna, vita, libertà.

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