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Intelligenza artificiale e fuga di cervelli

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Il Made in Italy protagonista, non solo per beni e servizi ma anche per sapere umano. L’ultimo rapporto sulle migrazioni dell’Istat ha messo in evidenza che oltre un milioni di italiani ha lasciato il Bel Paese, di cui 1/4 in possesso di un titolo di laurea. Incrociando i dati dell’Istat con quelli del ministero dell’Università, riferiti al numero annuale di laureati, si evince di come ogni anno l’8% di giovani formati scappi via dall’Italia. 

Giancarlo Fortino, professore ordinario di Ingegneria Informatica – Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso il Dipartimento di Ingegneria Informatica, Modellistica, Elettronica e Sistemistica dell’Università della Calabria, ha posto l’accento sulla questione dei dottorandi di ricerca, lasciando alcune riflessioni su un argomento di attualità, ossia quello dell’intelligenza artificiale.

“Purtroppo, conosco molto bene la problematica, essendo il coordinatore del dottorato di ricerca in ICT del mio dipartimento, il DIMES (Dipartimento di Ingegneria Informatica, Modellistica, Elettronica e Sistemistica) dell’Università della Calabria, da ormai tre anni, ed essendo anche stato un dottorando di ricerca tra il 1997 ed il 2000, quindi avendo potuto analizzare questo fenomeno in un arco temporale di più di 25 anni. Questa problematica è generale, ma particolarmente sentita nelle aree STEM e, più specificamente, nelle aree ICT. Il dottorato di ricerca all’estero denominato Ph.D, è il più alto livello accademico ed il primo percorso di studio ed avviamento alla ricerca per la formazione di giovani ricercatori. Quindi è un percorso di base di importanza fondamentale e strategica non solo per l’Università, per creare i professori del futuro, ma per il Paese tutto, per elevare il livello qualitativo e di visione delle classi dirigenti del futuro. In Italia un dottorando di ricerca percepisce una borsa (esentasse, si tenga forte) di circa 1200 € al mese senza pagamento di alcun contributo e senza la possibilità di utilizzare questi tre anni per la ricostruzione della carriera a meno di determinate eccezioni. È chiaro, quindi, che la maggior parte dei nostri valenti neolaureati preferiscono andare a lavorare in azienda, che garantisce loro un salario decisamente più alto della borsa di dottorato con il pagamento dei contributi. Addirittura, una percentuale interessante dei nostri neolaureati nelle nostre materie ha iniziato anche ad espatriare verso paesi, come ad esempio Lussemburgo, Svizzera, UK, che garantiscono salari doppi o tripli rispetto ai salari di base italiani (addirittura guadagnano più di me). Ma ritornando al dottorato di ricerca, non è infatti bastato l’aumento delle borse che si sta avendo grazie al PNRR, in particolare quelle fornite nel framework dei “dottorati innovativi industriali”, promosso dal MUR con la partecipazione di aziende che versano metà dell’importo della borsa, circa 30K, ed i restanti 30K messi del MUR, per una borsa che ha durata di 3 anni, per un importo di circa 60K (qualcosina in più se si va all’estero). Il risultato è stato che il rilevante budget messo a disposizione dal MUR alle università italiane è stato decisamente “sotto utilizzato” per mancanza di “studenti” di qualità. Purtroppo, anche questa misura è stata quasi fallimentare, perché non è risultata “appealing” ai neolaureati italiani, ma è risultata di interesse soprattutto agli studenti stranieri provenienti da aree extra-EU “a basso salario” quali Asia (Pakistan), Medio Oriente (Iran) e Africa (tutta). Su questo fenomeno ho precisa contezza essendo il delegato del rettore alle relazioni internazionali e da anni analizzo e gestisco flussi di studenti stranieri, soprattutto extra-EU. Addirittura presso l’Unical riceviamo migliaia di domande di iscrizione per le lauree triennali, magistrali e magistrali a ciclo unico, lo scorso anno circa 9000, da più di 100 paesi extra-EU al mondo, mentre centinaia sono le domande di ingresso presso i nostri dottorati di ricerca, più di 200 solo nel “mio” dottorato. Certamente molti di questi studenti hanno motivazioni forti (condizioni di vita migliori rispetto al loro paese d’origine), ed alcuni sono anche molto bravi, ma il livello medio è decisamente più basso di quello medio dei nostri laureati. Inoltre, solitamente, questi studenti una volta formati o tornano nel loro paese o vanno verso università e centri di ricerca stranieri dove l’ingresso a tempo indeterminato è più semplice, ed i salari sono mediamente più alti. Quindi la ricapitalizzazione dell’investimento che noi facciamo su queste persone, sia come budget che come conoscenze, è quasi nullo. Auspico fortemente che il governo intervenga per dare ai nostri migliori giovani, che intendono fare ricerca, delle borse congrue e competitive o addirittura un vero e proprio salario, così da evitare questa fuga di talenti dalle università italiane. Concludo sottolineando che, senza un rafforzamento della “base” e quindi del dottorato di ricerca, tutta l’università italiana crollerà nel lungo periodo e con essa la competitività del nostro paese”.

Il Professor Fortino si occupa di intelligenza artificiale applicata alle reti e ai sistemi informatici. La comunità scientifica italiana è in grado di competere a livello mondiale sulle sfide nell’applicazione dell’AI?

“L’AI è salita in questo ultimo periodo di nuovo e in maniera forte alla ribalta grazie a ChatGPT, alle sue potenzialità ed alle sue minacce. Bisogna evidenziare che è sempre stata oggetto di ricerca fin dalla definizione del termine AI, coniata da Mc Carthy in una famosissima conferenza negli States nel 1955. Gli sviluppi di base dell’IA sono molteplici e spaziano da quelli di nuovi modelli fondazionali, di nuovi linguaggi di programmazione, di nuove piattaforme intelligenti sia hardware che software, robot compresi, a quelli di nuove interfacce uomo-macchina, fino alla certificazione dei sistemi AI e non l’ultima all’ambizione di definire un’etica dell’AI. Per non parlare delle molteplici applicazioni con ricadute pesanti nel mondo della Salute, dell’Industria, dell’Economia e del Sociale. Senza alcun dubbio, siamo senz’altro pronti a competere grazie ad una storia costellata di ricerche di eccellenza”.

Il Professor Fortino sta portando avanti tantissimi progetti di ricerca e tra questi quello denominato “Radioamica”.

Di cosa si tratta?

“Radioamica, dei tantissimi progetti che stiamo portando, ritengo abbia un altissimo potenziale di impatto per le ricadute che può avere sulla salute pubblica italiana e internazionale. L’acronimo è tutto un programma: “Radio” sta per l’ambito “Radiologico”, “Amica” significa da realizzare in modo cooperativo attraverso una piattaforma multi-istituzione. In realtà, radioamica è un acronimo “Open Network per la RADIOmica/rAdiogenoMIca Cooperativa basata su intelligenza artificiale”. Ma cos’è la Radiomica? La Radiomica è quella disciplina che si occupa dell’estrazione e l’analisi di caratteristiche quantitative calcolate a partire da immagini mediche (TC, RM, PET etc.), per caratterizzare particolari regioni di interesse (ROI) come lesioni, tumori, vasi, tessuti, ecc. Attualmente il “driver” della Radiomica è proprio l’AI ed in particolare le tecniche basate sul deep learning – le reti neurali profonde. L’obiettivo principale del progetto Radioamica è l’analisi, la progettazione, l’implementazione e la validazione della Piattaforma multi-istituzione per la gestione distribuita, cooperativa e sicura dei dati e dei modelli diagnostici, prognostici e predittivi per una strategia terapeutica di precisione in ambito oncologico, basati sulla radiomica/radiogenomica”.

Fortino è l’unico professore italiano dell’area “computer science” proveniente da una università italiana ad essere nella prestigiosa classifica “Highly Cited Researcher by Clarivate”.

“Highly Cited Researcher” è una classifica stilata annualmente da Clarivate e fa riferimento alle riviste scientifiche impattate più importanti di tutti i settori. La classifica non si basa sul mero numero di citazioni acquisito durante la propria vita accademica, come quasi tutte le altre classifiche disponibili, ma considera solo gli ultimi 11 anni di attività dei ricercatori e le citazioni da articoli pubblicati su riviste censite che sono poi le riviste più importanti dei vari settori bibliometrici. Per ogni ricercatore in una determinata area, nel mio caso “Computer Science”, si contano il numero di articoli altamente citati per anno di pubblicazione e si considerano i ricercatori che ne hanno di più fino ad una certa soglia che cambia di anno in anno. Da notare che un articolo altamente citato è definito tale in accordo ad un algoritmo che tiene conto di tutta una serie di parametri e quindi non si conosce “a priori” il numero di citazioni che un articolo deve avere per essere altamente citato. Quindi è estremamente difficile entrare nella classifica, ed è altrettanto dura rimanerci. Io ci sono dal 2020 per il 4° anno di fila”.

Al Professore viene risparmiata la domanda delle domande, ovviamente, essendo l’IA al centro dei suoi studi, per cui non potrebbe, anche volendo, essere imparziale.

Quale rischio corriamo con l’IA?

Questa domanda la pongo a voi lettrici e lettori, ma se permettete, ripeto la mia risposta: la fine dell’umanità, in tutti i sensi. Il sottoscritto, malgrado abbia una conoscenza pluridecennale di circuiti & co. è contro l’IA. Da strumento a fine, il passo è breve. E’ incontrollabile perché gli sviluppatori sono incontrollabili, e realizzare mostri digitali diventerà possibile.

(Fonte_ADNKronos)

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