Lo stop “forzato” alle importazioni mette sotto scacco il made in Italy
Allarme per i settori agroalimentare, moda e legno-arredo sulle materie prime e componentistica. Secondo la Banca d’Italia il 16% delle importazioni italiane di beni in valore transita attraverso l’agitato canale di Suez.
È prematuro parlare di una riedizione della crisi delle catene di approvvigionamento vissuta dall’industria italiana ed europea dopo la pandemia di Covid 19. È un fatto che la crisi nel Mar Rosso oltre a frenare l’export delle aziende italiane verso l’Asia e l’Oceania, rischia anche di ripercuotersi su molte produzioni industriali, che dipendono da materie prime e componenti basilari in arrivo via marittima attraverso Suez.
La Banca d’Italia ha stimato nei giorni scorsi che il trasporto marittimo in quell’area riguarda quasi il 16% delle importazioni italiane di beni in valore.
L’impatto sula moda
Un terzo dell’import del comparto passa abitualmente dal Mar Rosso per arrivare in Europa. Le navi cargo sono cariche di fibre, tessuti, componenti (come le zip) che arrivano da Giappone, India e Cina e semilavorati o capi confezionati spesso del Sud est asiatico. Nel 2023, secondo le stime di Camera nazionale della moda italiana, l’import della moda made in Italy ha superato i 50 miliardi di euro. Il fornitore principale è stata proprio la Cina, con 4,4 miliardi di euro in valore di merce importata solo per il comparto abbigliamento, accessori e calzature. Al momento, le aziende registrano ritardi nella consegna delle merci che vanno da un minimo di 15 giorni a oltre un mese. La presidente di Confindustria Moda, Annarita Pilotti, imprenditrice nel calzaturiero marchigiano, ha parlato di «forti preoccupazioni» per i «prezzi dei trasporti da Shanghai a Genova triplicati». Rispetto ai primi di gennaio, invece, spedire un container da Napoli, Genova e Trieste verso Shanghai costerebbe il 231% in più. Ma non solo: l’aumento dei prezzi dei carburanti, il ricorso a mezzi di trasporto più veloci e costosi per non fermare la produzione. Costi che, sul lungo periodo, potrebbero riversarsi sui clienti finali. E’ sempre così
L’agroalimentare
Per un’altra filiera italiana, l’agroalimentare, i valori di import ed export in transito attraverso il canale di Suez sostanzialmente si equivalgono. E’ stato calcolato che la crisi del Mar Rosso mette a rischio 5,3 miliardi di euro di approvvigionamenti. Tale è il valore delle importazioni di materie prime agricole che l’Italia ogni anno fa arrivare dall’Asia e dall’Oceania. Dal Mar Rosso passano oltre 3 milioni di tonnellate di prodotti destinati alle nostre tavole, pari al 9% di tutte le materie prime agroalimentari importate dall’Italia.
Ad esempio, transita attraverso il Canale di Suez il 67% di tutto il riso che arriva nel nostro Paese. A seguire, ci sono il 47% degli olii vegetali, il 45% del pomodoro trasformato, il 35% di tè e caffè, il 14% dei prodotti ittici, l’11% della frutta a guscio e il 10% degli alimenti per animali. «Il passaggio per il canale di Suez rappresenta il 52% del valore complessivo delle importazioni italiane via mare – spiega Riccardo Fargione, coordinatore del centro studi Divulga –. In entrata si registrano difficoltà nell’approvvigionamento di prodotti e di mezzi tecnici per l’agricoltura, come i fertilizzanti, oltre al danno provocato nel rallentamento nell’export di prodotti agroalimentari italiani verso l’estero e in particolare l’Asia e l’Oceania».
Le esportazioni di alimenti minacciate dagli attacchi degli Houthi ammontano invece a 5,5 miliardi di euro, calcola Coldiretti. Tra i prodotti interessati ci sono frutta e verdura fresca – le più a rischio poiché facilmente deperibili – per un valore attorno al miliardo di euro, ma anche pasta e i prodotti da forno per 800 milioni, dolci per altri 400 milioni e vino per oltre mezzo miliardo, con la Cina che si contende con gli Usa il primato nel consumo di rossi di cui l’Italia è tra i primi tre Paesi fornitori. Il made in Italy diretto in Medio Oriente, India e Sudest asiatico sconta ora un aumento dei costi di trasporto stimabile in quasi 10 centesimi per ogni chilogrammo, che incide sulla competitività delle imprese nazionali.
Legno e arredo a rischio
Nei primi dieci mesi del 2023 le importazioni giunte in Italia passando per il canale di Suez hanno raggiunto un valore di circa 1,9 miliardi di euro, pari al 19% dell’import complessivo. Il valore dei beni esportati in transito per la medesima rotta è stato invece quantificato in 2,5 miliardi (il 15% del totale).
«Il problema delle merci in uscita è facile da quantificare: il costo dei noli internazionali, a patto di trovare i container, è triplicato e incide soprattutto sul prezzo di vendita finale dei mobili esportati in Medio Oriente, in Asia e Oceani», osserva Paolo Fantoni, vice-presidente di FederlegnoArredo. Più complesso è il tema sul fronte importazioni: «La scarsità di un qualche materiale o componente, infatti, fa scattare un aumento delle speculazioni e dell’inflazione che, al momento, sono solo parzialmente visibili – spiega Fantoni –. Per quanto riguarda il nostro settore, nel solo mese di gennaio abbiamo visto aumenti del 10-15% dei componenti derivanti dalla chimica, oltre ad alcune criticità sulla componentistica, ad esempio cerniere e parti metalliche, destinate soprattutto al settore finiture». Aumenti che colpiscono soprattutto le produzioni medio-basse, destinate alla grande distribuzione, mentre i produttori di fascia medio-alta sono favorite da catene di approvvigionamento locali.
(Fonte:Sole24ore)