Garanzie sulla data del voto, sul coinvolgimento dei fuori sede e sull’informazione sulla consultazione popolare. E’ ciò che i comitati referendari chiedono in vista dell’incontro di domani a Palazzo Chigi sul voto per i referendum di primavera su cittadinanza e lavoro. Un incontro che dovrebbe avvenire con il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Si tratta, ha sottolineato Riccardo Magi, segretario di +Europa, in una conferenza stampa con il leader della Cgil, Maurizio Landini, di “questioni che attengono all’esercizio della democrazia, alla pienezza dell’esercizio democratico per la quale serve anche informazione”. “Che le persone siano informate – ha detto Landini – è un punto decisivo. La democrazia la si difende così. Il voto è la nostra rivolta”. L’incontro che si terrà alle 15.30 sarà preceduto da un flash mob a piazza Capranica al quale parteciperanno anche le reti studentesche e giovanili che hanno aderito ai Comitati.
Primo quesito: come funziona attualmente la cittadinanza per gli stranieri?
Il primo quesito del Referendum 2025 riguarda la cittadinanza italiana per gli stranieri.
Attualmente, se uno straniero vuole ottenere la cittadinanza italiana deve risiedere legalmente in Italia per almeno 10 anni [2].
Primo quesito: cosa cambierebbe con il Sì?
Con il referendum 2025, votando Sì al primo quesito, gli anni di residenza in Italia per gli stranieri che volessero ottenere la cittadinanza italiana passerebbero da 10 a 5.
C’è di più: visto che in Italia i genitori trasmettono la cittadinanza ai figli minorenni, anche i figli di stranieri residenti da 5 anni diventerebbero cittadini italiani.
Ci potrebbero essere, dunque, 2,5 milioni di nuovi cittadini italiani.
Secondo quesito: come funziona attualmente il licenziamento?
Attualmente, in tema di licenziamento, la legge prevede che se sei stato assunto dopo il 7 marzo 2015 e vieni licenziato, non hai diritto a tornare al lavoro anche se il giudice ha stabilito che quel licenziamento è, in realtà, ingiustificato. Ciò che ti spetta è solo un’indennità economica.
Ad oggi, a seguito di un licenziamento illegittimo, il lavoratore può essere “reintegrato”, ossia può tornare al suo posto di lavoro, se:
- il licenziamento è nullo (ad esempio discriminatorio, intimato oralmente, diretto alla lavoratrice in congedo di maternità);
- il licenziamento si fonda su un fatto inesistente (ad esempio una condotta che il lavoratore non ha mai tenuto oppure delle fantomatiche difficoltà economiche in cui, in realtà, l’azienda non versa);
- il fatto che viene contestato al lavoratore è punito, secondo il contratto collettivo di riferimento, con una sanzione conservativa (che “conserva” il posto di lavoro del dipendente che, comunque, ha sbagliato; sono sanzioni conservative il rimprovero, la multa e la sospensione temporanea dalla prestazione lavorativa, ma non il licenziamento).
Negli altri casi di licenziamento ingiustificato, ad esempio se il datore di lavoro punisce sproporzionatamente una piccola mancanza del lavoratore, questo non ha diritto alla reintegrazione ma solo a un’indennità economica.
Secondo quesito: cosa cambia con il Sì?
Con il Sì al referendum, verrebbe totalmente abrogata la norma di riferimento del Jobs Act, tornando alla disciplina precedente che prevedeva la reintegra nel posto di lavoro come tutela per il lavoratore destinatario di licenziamento illegittimo.
Terzo quesito: come funziona il licenziamento nelle piccole aziende?
Nelle piccole aziende, cioè quelle con meno di quindici dipendenti, se il licenziamento è ingiustificato (stesse ipotesi del paragrafo sopra) il lavoratore ha diritto a un’indennità pari nel massimo a sei mensilità di stipendio.
Terzo quesito: cosa cambia con il Sì?
Il referendum 2025 vuole eliminare questo “tetto” di sei mesi, lasciando così al giudice decidere l’importo dell’indennità che lui ritiene più equo considerando vari fattori come anzianità, dimensioni dell’azienda, carichi di famiglia del lavoratore. Tale importo, così, potrà anche essere superiore alle sei mensilità.
Quarto quesito: come funzionano i contratti a termine?
Attualmente i datori di lavoro possono stipulare liberamente contratti a tempo determinato (a termine) se hanno una durata inferiore a 12 mesi. Superati i 12 mesi, è possibile prorogare tale contratto, fino comunque a 24 mesi, solo se si aggiunge una “causale giustificativa”, ossia una giustificazione per iscritto del motivo per cui si sta usando un contratto a termine e non uno a tempo indeterminato. Facciamo un esempio.
Un’azienda produce tovaglioli di carta in Veneto. A causa delle Olimpiadi Invernali che si terranno a Cortina nel 2026, riceve dei massicci ordini da parte di bar, ristoranti e strutture ricettive in vista dello straordinario evento e del flusso di turisti particolarmente intenso previsto in quelle settimane. Tale azienda, vista l’esigenza di far fronte a un repentino, eccezionale e temporaneo aumento di ordini e di produzione, può stipulare dei contratti a termine anche eccedendo la soglia dei 12 mesi utilizzando questo non ordinario aumento di produzione come causale giustificativa.
Questa, come la sostituzione temporanea di un collega, sono considerate ragioni adeguate per stipulare un contratto a termine.
Quarto quesito: cosa cambia con il Sì
Con il Sì al quarto quesito del referendum 2025 si vuole introdurre l’obbligo di giustificazione scritta per tutti i contratti a termine: non solo, quindi, per quelli che superano i dodici mesi.
L’idea alla base di questo cambiamento è che diminuire, o comunque irrigidire, l’uso dei contratti a termine possa diminuire la precarietà e rendere il lavoro più stabile.
Quinto quesito: chi paga per gli infortuni sul lavoro nei casi di appalto?
Innanzitutto, l’appalto è un contratto in cui un soggetto (committente o appaltante) paga un altro soggetto (appaltatore) per realizzare una certa opera o un servizio. Questa opera viene realizzata con mezzi, strumenti, personale del secondo soggetto, cioè dell’appaltatore, che ha dietro un’organizzazione ben strutturata.
Un esempio di appalto può essere il seguente.
L’albergo di lusso Stellissimo (committente o appaltante) vuole rifare la facciata del suo edificio e chiama l’impresa edile Scalpelloni (appaltatore) per svolgere questo lavoro. Ipotizziamo che un muratore dell’impresa Scalpelloni si infortuni a causa di un “rischio specifico” dell’attività lavorativa che svolge, ossia qualcosa che richiede una particolare conoscenza tecnica difficile da riconoscere per chi non si occupa di quel settore, ad esempio il malfunzionamento di una carrucola. Chi paga al muratore il risarcimento per il suo infortunio? Una quota del danno subito gli viene risarcita dall’Inail, la restante parte del risarcimento calcolato dal giudice (danno differenziale), invece, è a carico del suo datore di lavoro, ossia l’impresa appaltatrice Scalpelloni. Se, però, l’impresa Scalpelloni fallisce e non riesce a pagare alcuni debiti, tra cui il risarcimento del povero muratore, questo rimarrà senza un risarcimento completo.
Quinto quesito: cosa cambia con il Sì
Con il Sì al quinto quesito del Referendum 2025, si vuole estendere la responsabilità per gli infortuni da rischi specifici al soggetto appaltante (nel nostro caso l’albergo Stellissimo). Il lavoratore infortunato potrebbe così chiedere il pagamento del risarcimento non solo al suo datore di lavoro (l’impresa edile) ma anche al soggetto per cui si sta realizzando l’opera o il servizio (nell’esempio fatto, l’albergo Stellissimo).
In questo modo, il lavoratore ha una garanzia in più di vedere risarcito il suo infortunio.
A voi la scelta.
E’ fuor di dubbio che è la cittadinanza il perno centrale del referendum, in quanto garantirebbe un nuovo e più ricco bacino di elettori per i promotori. Hanno voluto inserire deliberatamente la proposta di ridurre la cittadinanza tra i quesiti che ineriscono il lavoro, che non c’entra nulla. Se avessero richiesto un referendum a parte solo per la cittadinanza, è chiaro che in quella giornata avremmo fatto tutt’altro che votare, visto l’excursus delle cronache sulla mancata e impossibile integrazione. Ma la legge e la democrazia funzionano in questo modo, e per paradosso che sembri, anche l’astensionismo è una forma di voto, la più esplicita e risolutiva in quanto capace di annullare in toto il referendum.
(Fonti: ANSA, Laleggepertutti.it).