Oggi ricorre il 425mo anniversario del martirio di Giordano Bruno, filosofo, astronomo e matematico, oltre a essere sacerdote domenicano, al quale è opportuno dedicare un ricordo. Un uomo che ha esplorato molteplici percorsi della conoscenza filosofica, teologica e religiosa, affrontando soprattutto le teorie riguardanti l’universo infinito, la molteplicità di sistemi siderali e la tematica riguardante l’abbandono della teoria geocentrica tradizionale, superata dalla teoria eliocentrica di Copernico(dalla terra al Sole).
E’ stato vero precursore nel suo campo, affrontando la natura delle idee e dei processi cognitivi presenti nella mente umana, cosa ancor più significativa allorché tali campi non sono ancora presenti nelle conoscenze scientifiche del suo tempo, offrendo peraltro un fondamento filosofico alle scoperte scientifiche a lui coeve.
Giordano Bruno, il cui nome di battesimo è in realtà Filippo, nasce a Nola nel gennaio del 1548, da Giovanni, un sottufficiale dell’esercito del viceré di Spagna, e da Flaulissa Savolino, appartenente una famiglia di piccoli proprietari terrieri.
Completati gli studi liceali a Napoli, nel 1565 anni venne ammesso nel più grande convento della città, San Domenico Maggiore, appartenente all’ordine dei Domenicani, dove si dedicò agli studi, sia ordinari che teologici, caratterizzati all’epoca dall’influenza del filosofo greco Aristotele e di Tommaso d’Aquino, il quale aveva peraltro insegnato e posto termine alla sua vita terrena proprio nel convento stesso.
Ordinato sacerdote nel 1572, sceglie il nome di fratello Giordano; rimane nel convento dove concluse i suoi studi di teologia, nel 1575, discutendo brillantemente nel 1575 una tesi su Tommaso d’Aquino, conseguendo il titolo di dottore(Doctor). Nel corso dei suoi studi la sua prodigiosa abilità mnemonica ( una memoria eidetica)colpisce chiunque e i suoi superiori, i quali ritennero di far conoscere al Papa le sue capacità fuori dal comune.
Studi che gli consentirono di soddisfare i suoi interessi culturali e di familiarizzare con la tematica che forse più lo affascina, riguardante l’illimitato e l’infinito, che aveva già trovato in Nicola Cusano, il cardinale tedesco, grande filosofo, matematico e astronomo e poi in Copernico.
Nonostante le numerose letture, comprese quelle riguardanti Erasmo da Rotterdam, il suo spirito mal sopporta i limiti intellettuali imposti dalla teologia e quelli tipici di un ordine monastico, il che lo porta ad entrare presto in conflitto con i superiori: basti pensare che da semplice novizio ha l’ardire di toglie dalla sua camera l’immagine della vergine Maria.
Intollerante riguardo la limitata conoscenza dei suoi confratelli e le discussioni riguardanti sottigliezze teologiche, legge due dissertazioni di Erasmo, allora proibite, discutendo peraltro l’eresia di Ario, che, come noto, non riconosce la divinità di Cristo. Viene accusato di leggere e soprattutto di commentare libri ritenuti eretici, quali quelli di Cicerone e di Lucrezio.
Consapevole delle sanzioni che gli sarebbero state comminate, per di più insofferente alla logica dogmatica del suo ordine di appartenenza, che risente per di più di un contesto caratterizzato dalla Inquisizione, Giordano Bruno decide di recarsi dapprima a Roma, cosa che fece nel febbraio del 1576. Raggiunta la capitale si rende conto di non poter restare a lungo, anche a causa di un secondo procedimento di scomunica. Abbandona quindi l’abito domenicano e si reca nell’Italia settentrionale, vagando per quasi due anni, sostenendosi grazie a piccoli lavori, soprattutto dando lezioni di astronomia e di grammatica, svolgendo addirittura per un seppur limitato periodo compiti di assistente in una azienda agraria.
Nel 1578 abbandona l’Italia raggiungendo la Savoia, segnatamente Chambéry, e successivamente Ginevra, città calvinista, nella quale a quel tempo trovano rifugio molti perseguitati soprattutto per ragioni religiose, dove si guadagna da vivere come revisore di testi.
Lascia anche Ginevra a seguito di un forte contrasto con la gerarchia calvinista, riguardante alcuni aspetti del calvinismo, che a suo parere sono improntati verso le opere e meno verso la fede, cui si aggiunse un’aspra polemica con un alto esponente del calvinismo stesso, che gli costerà l’arresto e la scomunica.
Non appena libero si reca in Francia, devastata dalle guerre di religione, recandosi a Tolosa, dove si addottora in filosofia discutendo una tesi riguardante Aristotele. Qui trascorre due anni di relativa tranquillità, nella quale insegna dapprima filosofia, cui affianca poi gli insegnamenti di matematica e fisica. Pubblica, peraltro, un libro sulla mnemonica, riguardante l’arte della memoria.
La crescita delle tensioni religiose tra cattolici e protestanti e una forte contestazione degli studenti avversi alle sue dottrine antiaristoteliche lo inducono a lasciare la città e a recarsi a Parigi, ove sembra trovare un momento di serenità, acquisendo, attraverso l’insegnamento dell’arte della memoria, l’attenzione dell’ambasciatore Michel de Castelnau e del stesso re, Enrico III, uomo attento verso le cose dello spirito, che gli concede un posto di lettore straordinario presso il Collegio di Francia.
Il soggiorno parigino, durante il quale pubblica anche l’opera satirica il Candelaio, ispirata a Napoli, dura più di due anni, fino a quando decide di seguire nel 1583 il Castelnau, allorché quest’ultimo si reca in Inghilterra, presso la regina Elisabetta, come ambasciatore del re di Francia.
Il periodo inglese, il più proficuo dal punto di vista creativo, è favorito anche dal contesto culturale, particolarmente attento al pensiero rinascimentale italiano. Raggiunge un significativo successo e intesse amicizie importanti, oltre che divenire un personaggio al centro dell’attenzione generale, stante la sua originalità e la sua capacità riguardante l’arte della memoria che lo contraddistingueva.
Insegna per un breve periodo persino a Oxford, dove ha una violenta disputa con un accademico, cui seguirono le proteste riferite a una sua pubblicazione satirica (la Cena de le Ceneri), riguardante la società inglese, e alla critica ritenuta eccessiva verso la filosofia tradizionale; accadimenti a seguito dei quali termina il suo soggiorno, alla metà del 1585, facendo ritorno in Francia.
Il nuovo soggiorno parigino di Bruno è caratterizzato dalla contrapposizione che egli assume nei confronti degli aristotelici e dalle dispute che ne conseguono. Dispute che hanno conseguenze negative soprattutto riguardo il sostegno dei suoi protettori, che sono costretti a prendere le distanze nei suoi confronti, per timore di rimanere compromessi.
Privato di tali sostegni comprende che la sua parentesi parigina è terminata e quindi si dirige verso la Germania luterana. In Germania insegna a Wittenberg, la città di Martin Lutero (1586-1588), a Praga (1588) e a Helmstadt (1589), una città rigorosamente luterana nella quale, pur non avendo abbracciato formalmente la fede luterana, viene di nuovo scomunicato.
Si reca quindi a Francoforte, per per pubblicare alcune poesie, ove viene fatto contattare da un un nobile veneziano, Giovanni Mocenigo, che lo vuole a Venezia come maestro dell’arte della memoria. Bruno accetta l’offerta, pensando peraltro di tornare in Italia con la segreta la speranza di essere chiamato a insegnare matematica a Padova, ove terrà lezioni a studenti tedeschi.
Ben presto la protezione del Mocenigo venne meno, perché quest’ultimo è deluso dei risultati ottenuti riguardo la mnemotecnica e forse soprattutto preoccupato per le tesi eretiche di Bruno, arrivando a denunciare lo stesso al tribunale dell’Inquisizione.
Arrestato nella notte tra il 23 e il 24 maggio 1592 e imprigionato, Bruno viene interrogato per la prima volta dagli inquisitori veneziani. Roma chiede di giudicare l’ex dominicano e, con 142 voti favorevoli e 30 contrari, il Senato di Venezia delibera di consegnarlo a papa Clemente VIII. Viene pertanto trasferito, nel febbraio 1593, nelle segrete del Sant’Uffizio a Roma, ove trascorrerà sette anni.
Nel 1599 papa Clemente VIII incaricò il cardinale Bellarmino, fervente difensore della Chiesa cattolica contro ogni eresia, di istruire la continuazione e portare a fine il processo.
Il 20 gennaio 1600, l’Ufficio della Santa Inquisizione si riunì a San Pietro alla presenza del Papa, che decise di consegnare Giordano Bruno al braccio secolare.
In una lettera finale indirizzata al Papa, Bruno afferma chiaramente il paradosso del suo processo riferito a problematiche comprese tra la moralità e la conoscenza: “La conoscenza è il risultato della libertà, mentre la moralità e il comportamento dipendono dall’autorità. Mi è stato detto che non potevo provare quello che sto dicendo. Ho risposto che non potevamo più dimostrare il contrario, che le Sacre Scritture non pretendono di descrivere il mondo, ma solo di esporre la moralità divina a tutti gli uomini.”
L’8 febbraio viene portato, nel palazzo dove ha sede l’Inquisizione, al cospetto del governatore della città. Quando ascolta la condanna a morte per eresia, si rivolge ai giudici dicendo: “Forse voi, miei giudici, pronunciate questa condanna contro di me con più paura di me nel riceverla”. Trascorso il periodo ulteriormente concesso per redimersi, il 17 febbraio è condotto a Campo di Fiori, con la bocca imbavagliata, per essere bruciato vivo. Posto sul patibolo gli viene mostrato un crocifisso, che respinge. Anche i suoi libri sono condannati a essere bruciati in luoghi pubblici e inseriti nella lista dei libri proibiti dalla Chiesa.
Autore ritenuto ” maledetto”, Bruno viene riscoperto da Leibniz e Diderot. E’ nel XVIII secolo che Bruno viene considerato un panteista e un libero pensatore, erede dell’antico materialismo e precursore di Spinoza.
A metà del diciannovesimo secolo Bruno comincia ad essere ritenuto un grande studioso, peraltro martire dalla Chiesa, non tanto per le sue divergenze di natura teologica, ma soprattutto per le sue elaborazioni riguardanti la cosmologia infinitista e il sostegno e la condivisione dato alla teoria copernicana.
Alla fine del XIX secolo gli intellettuali italiani riscoprono Bruno come filosofo, quasi profetico, martire del libero pensiero, assurto pertanto anche a simbolo del pensiero mazziniano, radicale e massonico. Nel 1889,i laici italiani e in particolare la Massoneria fanno erigere la statua di Giordano Bruno, realizzata dallo scultore Ettore Ferrari (diventato poi gran maestro della Massoneria italiana) a Roma, in piazza Campo de’ Fiori, una delle piazze romane senza una chiesa, luogo ove avviene il suo supplizio(da cui in foto, sopra).
A seguito di ciò papa Leone XIII nella sua allocuzione del 24 maggio 1889, “amplissimum collegium”, contesta la concessione di siffatti onori a un apostata del cattolicesimo. Un mese più tardi, il 30 giugno 1889, condanna ancor più solennemente il monumento a Giordano Bruno, con la ulteriore allocuzione “quod nuper”, indirizzata ai cardinali di Santa Romana Chiesa presenti nel concistoro svoltosi nei palazzi vaticani, allorché definisce Bruno “doppiamente apostata, convinto eretico” e il monumento “monumenti dedicati a nefasti errori e alla stessa eresia”
Nel 1923, il 1930 e il 1931 il cardinale Roberto Bellarmino, che viene incaricato di presiedere al processo di Giordano Bruno, è in rapida successione beatificato, canonizzato e dichiarato dottore della Chiesa da Papa Pio XI. Atti solenni e irreversibili, attraverso i quali Pio XI conferma, seppur indirettamente, il giudizio della Chiesa.
Infine la Commissione speciale istituita per studiare la controversia tolomaico-copernicana, nella quale si inserisce il caso Galileo, ribadisce ancora una volta la condanna formale della Chiesa contro Giordano Bruno.
Oggi studi di notevole livello collocano e inquadrano l’opera di Bruno nel contesto del Rinascimento. Giordano Bruno ripensa e rielabora le concezioni riguardanti l’universo, la natura e la divinità, sia essente che manifesta, unitamente alle modalità mediante le quali acquisire la conoscenza.
Probabilmente egli non è un illuminato, né un occultista strictu sensu, neppure uno scienziato, né altrettanto un politico: è sicuramente un filosofo, un uomo che ama il sapere, come peraltro si è sempre autodefinito, ovviamente nell’accezione più ampia del termine.
Nonostante il suo interesse per la tradizione, l’ermetismo neoplatonico e le conoscenze per così dire esoteriche, Bruno ricerca la logica del pensiero anche riguardo la sua speculazione riguardante l’infinito.
Proprio per questo, anche per una sorta di autentica laicità, considerata anche dal punto di vista esoterico tradizionale, è sicuramente un sacerdote del libero pensiero, della evoluzione e del progresso dell’umana specie, fattori che non possono avere né limiti dogmatici, né limiti posti dalle convenienze e dalla conservazione, utili solo ai singoli o ai vari poteri costituiti, che attraverso l’intolleranza e l’integralismo lavorano per il loro perpetuarsi.
Forte di questi convincimenti Giordano Bruno affronta il dogmatismo religioso, incurante delle conseguenze pratiche che subisce, testimoniando la sua forza e il suo credo, arrivando infine all’estremo sacrificio.
La storia di Giordano Bruno è soprattutto la storia di un precursore e, come tutti i precursori, quella di un incompreso, che non ha mai cessato nel corso della sua esistenza di sostenere la sua visione di un piano infinito e di uno manifesto, nel quale regna il dubbio e l’incertezza, soprattutto se riferiti alla conoscenza assoluta.
La Chiesa non si smentisce, e ha fatto con lui come con Giovanna d’Orleans.
Se fosse vivo ai tempi nostri, sarebbe uno dei fondatori di Wikilieaks probabilmente.
Sic transit gloria mundi.
(Fonte: Notiziegeopolitiche.net)