“Dazi al 25% su acciaio e alluminio”.
Donald Trump secondo quanto riferisce Bloomberg, ha informato che “annuncerò dazi del 25% sull’acciaio e l’alluminio lunedì” e dazi reciproci a Canada e Messico. “Ogni acciaio che entrerà negli Stati Uniti sarà soggetto a dazi del 25%”, ha aggiunto, specificando il suo intento.
Trump vorrebbe acquistare e controllare Gaza, aprendo alla possibilità di concedere alcune aree ad altri Paesi del Medio Oriente così da aiutare nella ricostruzione. Ha poi aggiunto che gli ostaggi rilasciati da Hamas sembravano dei sopravvissuti dell’Olocausto.
Trump ha rivelato che Elon Musk potrebbe aver trovato alcune irregolarità esaminando i dati del Dipartimento del Tesoro e “questo potrebbe essere un problema interessante perché potrebbero esserci molte cose che non tornano. Forse potremmo avere meno debito di quanto pensiamo”.
Intervistato dalla Fox il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che la differenza fra queste prime tre settimane e il primo mandato è che allora “avevo una forte opposizione. Non avevo il sostegno di cui avevo bisogno”. Parlando del Canada, ha dichiarato che lo Stato del Nord America “farà molto meglio come 51esimo Stato degli Usa. Perdiamo 200 miliardi di dollari in sussidi al Canada. Sarebbe fantastico se il Canada si unisse senza la linea artificiale”. Ha quindi aggiunto, lamentandosi, che Ottawa non spende abbastanza in campo militare perché presume che gli Stati Uniti lo difenderanno.
I dazi annunciati da Donald Trump su acciaio e alluminio restano un’incognita per i produttori italiani.
Sull’acciaio, però, tariffe del 25 per cento pesano già dai tempi della prima amministrazione Trump, che hanno provocato non pochi danni per il settore, con un calo dei volumi esportati pari a due terzi nel giro di sei anni. “Alla luce di questi dati, non comprendiamo se i recenti proclami rappresentino un rinnovo di una normativa già esistente o se siano il preludio a nuove misure restrittive”, ha detto Antonio Gozzi(sotto, in foto), presidente di Federacciai. Gli stessi dubbi restano anche a livello europeo, dove per il momento si è scelta la strada del dialogo con gli Stati Uniti, ma al contempo si prepara una controffensiva nel caso in cui Trump si ostini a lanciare una guerra commerciale contro il Vecchio continente.
“Dal 2018, anno in cui l’amministrazione Trump ha introdotto i dazi del 25 per cento sull’importazione di acciaio dai Paesi dell’Unione europea, l’export italiano di acciaio verso gli Stati Uniti ha subito un drastico calo, passando da circa 600 mila tonnellate nel 2018 a meno di 200 mila tonnellate nel 2024”, ha spiegato Gozzi. Se le nuove disposizioni del presidente si limitassero a un’estensione delle tariffe già in vigore per l’Europa agli altri Paesi del mondo, è improbabile che i produttori italiani di acciaio subiscano danni maggiori di quelli già sofferti in questi anni. “Ci preme sottolineare che le aziende italiane esportano negli Stati Uniti prevalentemente acciai speciali, prodotti di alto valore il cui prezzo consente comunque di superare la soglia imposta dai dazi. Inoltre, gran parte della produzione destinata ai clienti statunitensi avviene direttamente all’interno degli Stati Uniti, grazie agli investimenti e alla presenza produttiva delle nostre aziende sul territorio americano”, ha sottolineato il presidente di Federacciai.
Diversa sarebbe la situazione nel caso in cui i nuovi dazi si aggiungessero a quelli già esistenti, gettando le basi per un’escalation del conflitto commerciale. Per il momento, però, da Bruxelles si preferisce non commentare questa ipotesi. “Attualmente non abbiamo ricevuto alcuna notifica ufficiale in merito all’imposizione di ulteriori dazi sulle merci dell’Ue. Non risponderemo ad annunci generici senza particolari o chiarimenti per iscritto”, ha spiegato il portavoce della Commissione europea, sottolineando che non si vedono ragioni per l’imposizione di ulteriori tariffe alle esportazioni. Per questo, la strada privilegiata resta quella del dialogo. “Ora è il momento della collaborazione, non dello scontro”, ha proseguito il portavoce.
Per disinnescare il rischio di una guerra commerciale, l’Unione Europea sta valutando concessioni mirate agli Stati Uniti. Tra queste, l’opzione più discussa è quella di una possibile riduzione dei dazi sulle auto statunitensi dal 10 per cento al 2,5 per cento, andando a eguagliare la tariffa attualmente imposta dagli Usa sui veicoli europei. Questa mossa sarebbe vista di buon occhio anche dalle case automobilistiche europee, in particolare quelle tedesche, spaventate dall’ipotesi di “dazi reciproci” da parte di Washington. Questa apertura si inserirebbe nel quadro di una strategia più ampia di distensione, che include l’acquisto di maggiori quantità di gas naturale liquefatto e attrezzature militari dagli Stati Uniti, nel tentativo di riequilibrare la bilancia commerciale e rispondere alle critiche di Trump sul presunto divario negli scambi transatlantici.
Se la via diplomatica dovesse fallire, però, l’Unione europea è pronta a reagire “per proteggere gli interessi delle imprese, dei lavoratori e dei consumatori europei da misure ingiustificate”. Vista l’imprevedibilità di Trump, questa opzione è da giorni sui tavoli delle cancellerie europee. Tra i primi a commentarla pubblicamente, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato di essere disposto a un testa a testa con Trump sui dazi, come già accaduto durante il primo mandato del presidente statunitense. Anche Berlino ha avvertito Washington sui rischi di un’escalation, che danneggerebbe tutte le parti. Il portavoce del cancelliere Olaf Scholz ha comunque sottolineato che la politica commerciale è una competenza comunitaria e che ogni decisione sarà presa collettivamente. Sulla stessa linea è anche Madrid: il ministro degli Esteri José Manuel Albares ha assicurato che “l’Ue è preparata per ogni eventualità per difendere gli interessi degli europei e il mercato unico”. Di fronte alla minaccia Trump, dunque, l’Europa, continua a muoversi su due fronti: da un lato il dialogo, dall’altro la determinazione a reagire, se necessario, colpo su colpo.
Vedremo prossimamente quali saranno le mosse reali di Trump in proposito. Resta da considerare anche l’incognita Ucraina, ricca di risorse in antagonismo con l’Africa, in mano a russi e cinesi per l’approvvigionamento di minerali rari utili per il progresso digitale. L’umanità consuma la Terra per produrre, spolpando ogni centimetro cubico disponibile. Lo stesso Trump è un fervente sostenitore del motto “Drill, baby drill”, ossia trapanare per estrare gas e petrolio. Quelli di Trump non sono dazi, ma “dispetti economici” dettati da necessità di Stato e dalle lobbies che lo sostengono.
Ma anche l’Europa non scherza, nonostante la transizione energetica, a “mangiare” risorse per andare avanti.
L’economia è più bizzarra di quanto pensiate.
(Fonti: Il Giornale, Huffington post)