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Il padre di Giulia Cecchettin dopo l’arringa della difesa di Turetta: “La memoria di Giulia è stata umiliata”

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Durante la requisitoria in aula, i legali dell’imputato hanno definito l’ergastolo come una “pena inumana”, chiedendo di non considerare le aggravanti, richieste invece dalla Procura. La sentenza è attesa per il 3 dicembre.

“Io ieri mi sono nuovamente sentito offeso e la memoria di Giulia umiliata” scrive su Facebook Gino Cecchettin in relazione all’udienza di ieri del processo per omicidio all’ex fidanzato della figlia, Filippo Turetta, in cui hanno parlato gli avvocati dell’imputato. “La difesa di un imputato è un diritto inviolabile” scrive il padre di Giulia nel post, aggiungendo “credo sia importante mantenersi entro un limite, che è dettato dal buonsenso e dal rispetto umano”. “Travalicare questo limite – aggiunge poi Gino Cecchettin – rischia di aumentare il dolore dei familiari della vittima e di suscitare indignazione in chi assiste”. Il riferimento è alle parole della difesa, che ha contestato le aggravanti avanzate dai pm nei confronti di Turetta.

La difesa di Filippo: “L’ergastolo è una pena inumana e degradante”

“L’ergastolo è da molto tempo ritenuto una pena inumana e degradante, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. L’ergastolo è il tributo che lo stato di diritto paga alla pena vendicativa”. E’ questo uno dei passaggi dell’arringa di Giovanni Caruso(sopra, in foto), il difensore di Turetta che ieri ha ricostruito la vicenda dell’omicidio di Giulia, difendendo la posizione del suo assistito.

Dopo la richiesta della condanna all’ergastolo, formulata ieri dal pm Andrea Petroni(in foto), ieri in Corte d’Assise a Venezia è stata la volta dell’arringa a difesa per Filippo Turetta, l’omicida reo confesso di Giulia Cecchettin. Il 23enne di Torreglia era presente nell’aula di giustizia. Non c’era invece il papà di Giulia. La prossima udienza, come da programma stilato dal collegio giudicante, sarà quella della sentenza, il 3 dicembre.

Prima di iniziare la propria arringa davanti alla Corte d’assise di Venezia, il difensore del reo confesso omicida ha voluto chiarire: “A Turetta non interessa se prenderà l’ergastolo” dice ai giornalisti, ma lui, professore di diritto penale all’Università di Padova, e la collega Monica Cornaviera, ci provano con tutte le doti retoriche e legali del diritto per convincere la Corte d’assise a non infliggere la condanna più implacabile alla vita del ragazzo 23enne.

Cercano quindi di sfaldare le tre aggravanti della crudeltàdella premeditazione e degli ‘atti persecutori’, sulle quali il pubblico ministero ha insistito per la più dura delle condanne, e chiedendo che vengano riconosciute le attenuanti generiche “quantomeno equivalenti” alle aggravanti.

“Oggi ho un compito non facile: difendere un imputato reo confesso di un omicidio efferato, gravissimo, e di altri reati. Assisto un giovane ragazzo che ha ucciso una ragazza meravigliosa, privandola della vita, dei ricordi, dei sogni, delle speranze, dei progetti e di tutti i legami che la univano alle persone che l’amavano e avevano riposto in lei aspettative di un futuro radioso. Non dovete emettere una sentenza giusta ma secondo il principio della legalità, come impone la civiltà del diritto e non con la legge del taglione”.

“No alle aggravanti che portano all’ergastolo”

“Filippo Turetta merita le attenuanti generiche e non gli vanno riconosciute le aggravanti contestate nel capo di imputazione”: questa la richiesta formulata, al termine di un’arringa di circa tre ore, dall’avvocata Monica Cornaviera. La difesa non ha quantificato la richiesta di pena. In subordine, se i giudici dell’assise dovessero riconoscere le aggravanti, per le quali Turetta rischia l’ergastolo, che “la corte operi un giudizio di comparazione”.

“Omicidio efferato ma non c’è crudeltà”

“Un omicidio efferato ma non c’è l’aggravante della crudeltà” sostiene l’avvocato Giovanni Caruso.

Per il pm, Turetta ha straziato il corpo della ragazza con 75 coltellate anche sul volto e le lesioni da difesa testimoniano con quanta brutalità abbia inferto i mortali fendenti. “Un omicidio commesso con tanti colpi di pugnale non necessariamente è crudele nel senso previsto dalla legge. Turetta colpisce alla cieca, chi non è un killer professionista è difficile che prenda al primo colpo la giugulare. Anzi, chi non ha mai usato un’arma bianca comincia con colpi di ‘assaggio’, di taglio e di punta. L’omicidio “è incompatibile con le alterazioni emotive della condotta” che a sua volte escludono la premeditazione. Il legale ha ribadito poi che “Turetta ha agito in preda all’emotività, nell’alterazione di una situazione emotiva in cui ha agito con concitazione”.

“Turetta era ossessionato da Giulia, ma lei non aveva paura”

Anche lo stalking, dato per assodato dalla Procura già un anno prima dell’omicidio, per Caruso va messo in discussione. “La legge richiede la reiterazione delle condotte ed è indubbio che quelle di Turetta fossero ossessivequasi da spettro autistico, come si evince dalle sue annotazioni, petulanti e insopportabili, ma occorre anche che nella vittima si ingenerino stati perduranti d’ansia e di paura che in questo caso non vedo”. Giulia “non aveva paura di lui, tanto è vero che è andata all’ultimo appuntamento. Lei non ha cambiato stile di vita, ha fatto gli esami, stava per laurearsi, andava con lui ai concerti e uno di questi era in programma anche in una data successiva all’omicidio. Giulia va dallo psicologo ma non risulta che gli dica di avere paura di Filippo, va per altre ragioni. Quando lei dice Filippo, mi fai paura, lei intende che ha paura che lui si faccia del male”.

Il legale del 23enne sostiene che ”Filippo era letteralmente ossessionato da Giulia, un’ossessione che lo portava a temere una  contabilità ossessiva dei comportamenti, delle abitudini e delle  relazioni di Giulia. Che l’imputato avesse un comportamento petulante, oserei dire insopportabile, è fuori discussione”, spiega. Questo non  comporta, a dire del legale, l’aggravante degli atti persecutori (stalking) che necessita di ”uno stato d’ansia e paura perdurante e  grave”.

Nel ricostruire la relazione di oltre un anno, l’avvocato racconta quello che diventa, dopo alcuni mesi, in un ‘‘amore  tossico’‘ dove Giulia ”intelligente e solare, con un enorme spessore  umano” si accorge che quel ”ragazzo, timido, insicuro che marca il  territorio non ha le caratteristiche che lei desidera” e lo lascia. 

“Fine pena: mai” è la dizione utilizzata per definire l’ergastolo. Ma in Italia pochi sono i detenuti che non si siano avvalsi di tutti gli sconti e premi, tornando a una vita relativamente libera. Alcuni hanno conseguito la laurea, trovato poi un lavoro, perfino sposati. Da stragisti a criminali incalliti e omicidi di ogni tipo.

Forse anche Filippo Turetta, chissà…

Aspettiamo il 3 dicembre per saperlo.

Donna Vita Libertà.

(Fonte: Il Resto del Carlino)

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