Dopo circa due settimane dalla sentenza del tribunale di Roma e a tutte le conseguenti polemiche nate dal trasferimento dei migranti negli hotspot dell’Albania (e il loro immediato ritorno in Italia) Matteo Piantedosi ha risposto in dettaglio a quelli che sono stati i costi e le modalità messi in atto a seguito dell’applicazione del protocollo con l’Albania di Edi Rama.
Rispondendo al Senato a un’interrogazione svolta da Enrico Borghi (Italia Viva) il ministro dell’Interno specifica che il costo reale dell’impegno della nave Libra “si è rivelato di 8.400 euro complessivo al netto delle spese di ordinario esercizio quotidiano della nave”. Si tratta, sottolinea inoltre l’esponente del governo Meloni, di un costo giornaliero “ampiamente inferiore a quello che veniva sostenuto in epoche di grande celebrazione di operazioni, come ‘Mare Nostrum’, che richiedevano oneri per 300mila euro al giorno”.
Piantedosi specifica come le operazioni di recupero e trasferimento in Albania dei sedici migranti si siano svolte “in acque internazionali in due distinti eventi avvenuti in zona Sar italiana e tunisina”. Tutte le attività sono state condotte “nel pieno rispetto di procedure operative standardizzate definite in precedenza da un tavolo interforze con coinvolgimento dell’organizzazione internazionale della migrazione (Oim) e dell’agenzia Onu per i rifugiati”. Il progetto Albania, “sul quale abbiamo registrato il forte interesse di 15 Paesi europei e della presidente von der Leyen, risponde all’obiettivo prioritario del governo di prevenire e contrastare i flussi migratori irregolari e potrà in futuro svolgere un’importante funzione di deterrenza, con conseguenti benefici che si rifletteranno anche sul lavoro e i compiti delle forze di polizia”. Anche perché, allo stesso tempo si è verificato un drastico calo degli arrivi via mare dei migranti: “-62% rispetto all’anno scorso e -30% rispetto al 2022”.
Per il ministro dell’Interno, durante il question time all’interno dell’Aula di Palazzo Madama c’è anche la possibilità di replicare alle domande dei gruppi parlamentari del Senato su altri due temi che, in qualche modo, sono collegati tra loro. Prima di tutto quello sulla cyber security. “Abbiamo già avviato i lavori per l’implementazione e il potenziamento del livello di sicurezza del sistema attraverso la definizione di criteri e misure tecniche più stringenti per l’accesso al CED interforze – ha affermato il ministro -. Il costante impegno sul versante della sicurezza informatica trova ulteriore conferma nell’avere dato concretezza, dallo scorso febbraio, al Servizio per la sicurezza cibernetica – ha proseguito – nell’ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza, presso cui operano specialisti che curano le attività inerenti alla sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e delle infrastrutture informatiche in uso al ministero dell’Interno, in linea con i più aggiornati standard previsti a livello internazionale”.
Successivamente si arriva sull’argomento scottante del famigerato dossieraggio, che ha colpito anche l’istituzione del ministero dell’Interno. Piantedosi è apertamente consapevole che il quadro degli illeciti emersi al momento sia piuttosto “preoccupante e impone a tutti gli attori del sistema di sicurezza di effettuare ogni accertamento e ogni approfondimento necessario”. L’ex prefetto ha annunciato di avere “immediatamente incaricato il capo della polizia di avviare le conseguenti verifiche interne sulla sussistenza di ipotizzati accessi abusivi alle banche dati del Viminale e in particolare del Centro di interforze o sull’utilizzo illecito delle stesse”. All’esito dei primi controlli, tuttavia, “l’ipotesi di compromissione dell’infrastruttura non è risultata riscontrata“, conclude il ministro che attende anche gli esiti delle indagini in corso della magistratura.
Ha un bel daffare, Piantedosi, con tutte le “grane” che affliggono il nostro Paese.
(Fonte: Il Giornale)