“Vengono definiti dai loro aguzzini pecore” o “piccioni” con i relativi numeri e soldi, non di certo come persone. Quando si parla di lotta all’immigrazione clandestina che il governo persegue – vedi la legislazione sui “Paesi sicuri” e gli hotspot in Albania – si pensa giustamente solo ai diritti dei profughi e mai alle montagne di euro che vanno nelle tasche dei mercanti di uomini. Soldi che in seguito potrebbero finire nelle mani delle mafie, per cui gli irregolari sono solo ” cannon fodder”, carne da cannone per i loro miserabili traffici.
A Crotone con l’operazione “Levante”, coordinata dalla Dda di Catanzaro ed eseguita dalla Guardia di Finanza è stata scoperta “un’organizzazione che opera su più piani”, dalla Calabria alla Lombardia che “sfrutta la disperazione dei migranti”, dice il procuratore facente funzioni di Catanzaro Vincenzo Capomolla(sopra, in foto). Dietro le 13 ordinanze di custodia cautelare ci sarebbe un’organizzazione criminale radicata in Turchia e Iraq, con “succursali” in Francia e Grecia, dedita alla gestione del trasporto via mare di migranti irregolari diretti in Calabria e provenienti, per lo più, dal Medio Oriente e da Paesi asiatici come Iraq, Iran, Kurdistan, Afghanistan, Pakistan, Siria e Libano, le zone di partenza più gettonate dai disperati del nuovo millennio.
Gli inquirenti presenti alla conferenza stampa – il generale Antonio Quintavalle (Scico), il comandante regionale Gdf Gianluigi D’Alfonso e il comandante provinciale di Crotone, colonnello Davide Masucci, hanno escluso contatti e collegamenti dell’organizzazione con la ’ndrangheta o con chi ha organizzato quel drammatico naufragio avvenuto a Cutro, ma sono chiare le infiltrazioni ’ndranghetiste in un affare così succulento, di cui peraltro le mafie locali fanno fatica a vantarsi. Basti pensare che “l’agenzia di viaggio illegale” attingeva soprattutto dal bacino di migranti non richiedenti asilo del Cara di Isola Capo Rizzuto, a poca distanza da Crotone, la cui gestione era epicentro degli interessi mafiosi delle famiglie della zona da essere commissariato dalla Croce rossa da più di un anno. Nel 2015 l’operazione “Johnny” servì a svelare l’intreccio affaristico-mafioso dietro l’accoglienza. Basti considerare le cifre diffuse in conferenza stampa. Il costo della traversata dalla Turchia alle coste italiane e calabresi oscillava tra i 7mila e i 10mila euro, per coprire biglietti, passaporti e spostamenti sul territorio italiano (fino a Ventimiglia, dicono gli inquirenti) la spesa minima per ogni migrante era di circa 15mila euro.
Per riciclare i flussi finanziari movimentati dall’organizzazione era necessaria una copertura in apparenza legale, sono stati infatti sequestrati tre esercizi commerciali (due minimarket e un negozio di telefonia) dove si eseguivano – con il cosiddetto sistema “Hawala” – operazioni di “money transfer” illegale con sede a Ventimiglia, Roma e Milano. “Nelle intercettazioni i migranti venivano definiti dai trafficanti con termini squallidi come “pecore e piccioni”, hanno evidenziato gli investigatori. Solo nel 2014 “il capo dell’organizzazione, secondo quanto emerso da un’intercettazione, diceva di aver guadagnato 65mila euro solo per il trasporto via mare”. Certo, per colpa di leggi molto severe “c’è il rischio di essere arrestati e di farsi tre anni di carcere”, commentano gli indagati. Ben poca cosa rispetto alle migliaia di euro guadagnate sulle spalle dei disperati. Eppure gli sciacalli (termine con cui si definiscono questi “trasportatori”) del mare vantavano, nelle intercettazioni, una attività pluridecennale.
L’ostentazione del male.
(Fonte: Il Giornale)