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Italia, dove l’iniziativa imprenditoriale è soffocata dal fisco

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Siamo ormai arrivati alla vera e propria” vergogna fiscale”, con la possibilità per il Fisco di effettuare pignoramenti diretti ex Art. 72 Bis del D.P.R. N° 602/1973.

Con modalità definibile dittatoriale il Fisco è ora in grado di effettuare pignoramenti direttamente senza un provvedimento di verifica da parte di un giudice nei riguardi dei beni dei malcapitati onesti contribuenti.

Ogni giorno innumerevoli aziende sul territorio italiano si vedono costrette a cessare le loro attività, strangolate letteralmente dal fisco affamato e famelico e da costi di gestioni impossibili da sostenere.

Se il trend, ovvero la tendenza non incontrerà un logico rallentamento(o meglio, un fermo totale), di questo passo si verificherà una ecatombe economica che colpirà chi contribuisce onestamente con il proprio lavoro il sostentamento dell’Italia.

Verrà compromesso lo sviluppo economico aziendale, con la figura dell’imprenditore, da promotore di innovazione a vittima di abusi di stato.

Piccole e medie imprese, vero cuore dell’Italia del lavoro, sono sempre più assediate dalle grandi multinazionali foraggiate da colossi economici che vogliono accaparrarsi l’Italia sfruttando condizioni imparziali.

E’ in atto una vera e propria sostituzione imprenditoriale, con cordate straniere che si sono insediate in maniera subdola sul territorio italiano, facendo loro il “made in Italy” che ci ha da sempre contraddistinto per qualità.

Aslim Italy tutela il marchio italiano, in piena solidarietà con le aziende nostrane, sostenendo e promuovendo l’imprenditorialità italiana e la produzione in loco.

I governi che si sono succeduti hanno permesso tacitamente un banchetto a nostre spese, coadiuvati dal fisco come strumento per mettere in atto questa ignobile invasione della nostra società. Il lavoro, la produzione di beni e di servizi, rappresenta la colonna portante di questa nostra Italia oggetto dell’appetito di lobby estere.

Dobbiamo portare la nostra voce in alto, affinché tutti comprendano la serietà e la gravità di ciò cui stiamo andando incontro: un inaridimento totale, seguito da un asservimento passivo.

Servono nuove politiche a sostegno dell’iniziativa imprenditoriale, ma che siano concrete, non una mera dizione di articoli vuoti; è necessario riformare il mercato del lavoro con agevolazioni, finanziamenti e detassazione affinché ritorni nei nostri cuori l’orgoglio di essere italiani, innovatori, creatori di opere uniche e non pecore destinate al macello, così come vorrebbero coloro che ci hanno portato alle attuali condizioni.

E’ una questione di onestà pratica verso tutti coloro che hanno contribuito e contribuiscono, nonostante gli infiniti ostacoli, a fare dell’Italia una nazione degna di ammirazione, dove lo sforzo è premiato, il lavoro tutelato, la qualità di vita garantita.

Ridurre le tassazioni, promuovere e agevolare l’imprenditore italiano.

Complessivamente in Italia sono fallite e hanno chiuso 732.067 aziende nel periodo in analisi (309.480 nel 2021 e 326.372 nel 2022). Le chiusure hanno riguardato per lo più aziende relativamente giovani. Se consideriamo infatti l’anzianità delle realtà italiane fallite nel periodo osservato: nel 32,1% dei casi avevano fra i 6 e i 15 anni di vita.

E’ un eccidio. Un lento stillicidio che va avanti da anni(vedi grafico)

Nel secondo trimestre del 2024, l’Italia ha registrato 2.292 liquidazioni giudiziali, un aumento del 12,5% (in tutto sono state 2.292) rispetto allo stesso periodo del 2023, secondo i dati che emergono dalla consueta analisi realizzata da CRIBIS (gruppo CRIF).

L’aumento delle liquidazioni giudiziali riflette le persistenti difficoltà che molte imprese italiane stanno affrontando in un contesto economico globale complesso.

Il prolungarsi di una stretta monetaria, che potrebbe allentarsi solo dopo l’estate, e le guerre in Europa e in Medio Oriente che non accennano a interrompersi, sta mettendo a dura prova la stabilità e la competitività delle imprese italiane.

Aziende storiche in difficoltà pronte a licenziare o chiudere, ammortizzatori sociali che esplodono, l’Ilva appesa all’ennesima gara per il rilancio e la grande malata Stellantis con numeri di produzione da brividi e un accordo con il governo sempre annunciato e mai ratificato. Due crisi – Wärtsila ed ex Blutec – risolte, almeno si spera, prima dell’estate e una al rettilineo finale (La Perla) sono rondini che non fanno primavera. Anzi, l’autunno alle porte si preannuncia ancora una volta turbolento. Basta scorrere i numeri dei posti di lavoro in bilico, di dipendenti in cassa integrazione o con contratti di solidarietà per comprendere il rischio che esplodano diverse grane nell’industria durante i prossimi mesi. Sono centinaia di migliaia le persone con stipendi ridotti o che arriveranno fino a non si sa quando: un bel grattacapo per il governo, a iniziare dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

I numeri delle crisi in Italia
I dati più freschi a disposizione risalgono all’8 agosto, quando la Cgil ha aggiornato i numeri contenuti in un report di gennaio. Il sindacato ha calcolato che i dipendenti coinvolti nelle crisi industriali per le quali sono aperti tavoli di confronto al Mimit sono oltre 60mila divisi tra 55 aziende. Numeri a cui vanno aggiunte le decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori di società che hanno tavoli aperti a livello regionale: per loro non esiste una mappatura nazionale. E, ancora, ci sono 5.141 dipendenti di aziende che, nonostante ne abbiano fatto richiesta, non hanno un tavolo al ministero. Ma a questi bisogna sommare anche i posti di lavoro a rischio di crisi a causa delle trasformazioni in atto, pari ad altri 120.026: ci sono i 25.459 della siderurgia, altri 8mila nel settore della produzione dell’energia (centrali a carbone e cicli combinati), circa 2.000 nel settore elettrico (a rischio per l’addio al mercato tutelato), quindi 4.094 nella chimica di base, 3.473 nel petrolchimico e nella raffinazione, 8.500 nelle telecomunicazioni. Il settore più a rischio? L’automotive, dove se ne contano circa 70.000. A conti fatti, i posti in ballo sono almeno 180mila.

Stellantis, la società che non dà più lavoro
Come i numeri ufficiali delle crisi non dipingano nel dettaglio lo scenario, lo spiega bene la situazione di Stellantis. Il gruppo automobilistico – con volumi drammatici di produzione nel primo semestre del 2024 – nell’ultimo anno ha varato un piano di uscite incentivate che coinvolgerà 3.600 lavoratori e ha ammortizzatori sociali attivi in quasi tutti gli stabilimenti. Mirafiori resta il caso più eclatante: costretta a chiudere con 20 giorni di anticipo rispetto alle ferie estive, ha riaperto lunedì con 3mila dipendenti in solidarietà fino alla fine dell’anno. E i sindacati temono che per molti loro, già a settembre, possa scattare la cassa integrazione. Nel sito di Melfi, invece, l’ammortizzatore sociale accompagnerà gli operai fino a giugno 2025.

Le riduzioni più significative nel numero di attività hanno riguardato il commercio (-9.998, pari a una variazione percentuale negativa dello 0,71%), l’agricoltura (-6.010 imprese e -0,85%) e la manifattura (-3.123 imprese e -0,61%). Questo evidenzia sfide specifiche che tali settori stanno affrontando, forse dovute a cambiamenti nelle preferenze dei consumatori, alle politiche agricole o, più in generale, all’impatto delle fluttuazioni economiche globali.

In termini territoriali, sono registrati saldi negativi, con il Centro che si segnala per l’arretramento più contenuto del trimestre (-0,11% contro la media di -0,18%) e il Sud e le Isole per la migliore tenuta rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: -0,16% quest’anno contro -0,15% dell’anno scorso. Tra le regioni, solo Lazio e Basilicata hanno registrato un saldo positivo, rispettivamente di 993 e 32 imprese. Al contrario, Piemonte (-1.934 unità) e Veneto (-1.518) hanno sperimentato le riduzioni più sensibili in termini assoluti.

Secondo l’indagine condotta tra il 26 agosto e il 16 settembre 2024 presso le imprese italiane dell’industria e dei servizi con almeno 50 addetti, i giudizi sulla situazione economica generale nel terzo trimestre dell’anno restano cauti. Le valutazioni sull’andamento della domanda corrente sia interna sia estera sono nel complesso peggiorate, guidate dalla debolezza delle vendite delle imprese dell’industria in senso stretto. Anche le attese sul prossimo trimestre sono meno positive rispetto alla scorsa primavera in tutti i comparti di attività. Le prospettive delle imprese sulle proprie condizioni operative a breve termine rimangono deboli, risentendo ancora prevalentemente dell’incertezza economico-politica.

Le imprese continuano a riportare valutazioni negative sulle condizioni per investire mentre restano stabili quelle sull’accesso al credito; la posizione complessiva di liquidità è considerata ancora soddisfacente. Secondo le attese, la spesa per investimenti complessivamente rallenterà nell’anno in corso.

La dinamica dell’occupazione prevista per il prossimo trimestre è meno favorevole rispetto alla precedente indagine, ma si continua a prefigurarne un’espansione, specialmente nelle costruzioni.

I listini praticati dalle imprese negli ultimi 12 mesi sono cresciuti a un ritmo meno intenso rispetto alla precedente rilevazione; per i prossimi 12 mesi, le imprese dell’industria in senso stretto e dei servizi continuano ad attendersi una crescita dei propri prezzi moderata, a fronte di una dinamica più elevata nelle costruzioni. Le aspettative delle imprese sull’inflazione al consumo sono lievemente cresciute su tutti gli orizzonti temporali, restando tuttavia su livelli contenuti.

Da una sezione monografica introdotta in questa rilevazione è emerso che entro il prossimo biennio l’Intelligenza Artificiale verrà utilizzata da circa un terzo delle imprese industriali e due quinti di quelle dei servizi, specialmente le più grandi.

(Fonti: CRIBIS, Banca d’Italia)

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