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Pizzaiolo egiziano con voglia di attentare

Un giovane egiziano col permesso di soggiorno e una vita ” irreprensibile” che guardava dalla finestra della pizzeria in cui lavorava a Bergamo la chiesa di Sant’Alessandro in Colonna immaginando di compiere giusto lì un attentato. In uno dei luoghi di culto più importanti nel cuore della città bassa dove, secondo la tradizione, avvenne il martirio del patrono. E’ un’indagine ancora agli inizi quella che ha portato all’arresto di E.S., 22 anni, ma che, spiega il procuratore Francesco Prete, ha “subito un’accelerazione molto forte perchè temevamo che il ragazzo avrebbe potuto colpire già nei prossimi giorni”.

Così, prima ancora di dare dei contorni nitidi all’associazione sovversiva cui avrebbe fatto parte, nel gruppo ‘Islamic State Khorasan Province (ISKP)’, la polizia lo ha arrestato ad Azzano SAn Paolo, dove vive, con l’accusa di apologia di diversi reati aggravata dalla finalità di terrorismo. C’è una conversazione intercettata che dimostrerebbe l’ansia febbrile di compiere un “atto fortemente violento e pericoloso”.

“Allora, come procede la vita?” gli domanda il suo interlocutore. E lui:”Giuro, la vita è noiosa. Sono sul posto di lavoro. La finestra è aperta, di fronte a me c’è la chiesa. Fuori ci sono delle persone vestite di nero. Se questo coltello che ho in mano entra nel corpo di un umano che faccio, esco o non esco?”.
La chiesa si trova a poco più di cento metri dal luogo di lavoro del ragazzo, ‘Pronto Pizzà, in via Garibaldi. Tra le carte dell’inchiesta spuntano delle fotografie in cui E.S. in giubbino jeans impugnerebbe “un fucile semiautomatico M3 calibro 12 a carico a pompa, funzionante come denota la presenza di cartucce a lato dell’arma”. Il giovane pizzaiolo era arrivato in Italia da irregolare, passando dalla Libia. Poi pero’ la sua esistenza aveva preso la piega di “un’apparente normalità”, la definisce il pm Silvio Bonfigli, col mestiere e il permesso.

Finchè i servizi di intelligence hanno segnalato alla magistratura che apparteneva a un network di navigatori del web vicini all’ISKP e utilizzava “i vari profili social, Facebook, Instagram, Tik Tok, per condividere e diffondere idee proprie della frangia più estremista dell’islamismo, di cui si fa portavoce, manifestando chiari intenti di passaggio all’azione”. Erano 62, è il conto degli investigatori – Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, Digos di Brescia e Bergamo – dei profili da lui seguiti “di marcata connotazione radicale, a cui metteva like o commenti”.

Tra i siti seguiti quello in cui veniva pubblicizzata la vendita di documenti falsi europei con tariffario incluso. Ma sono soprattutto le intercettazioni quelle che dimostrerebbero “in modo inequivoco la volontà di passare all’azione al punto di sacrificarsi da martire”. Non solo. In una telefonata sembrerebbe voler uccidere anche “un collega con cui aveva un problema di lavoro”.

“Qualsiasi idea tu abbia, Dio è con te” lo aizza un amico a proposito del martirio e lui si dà una scadenza temporale di “due-tre mesi” nel dialogo in cui osserva la chiesa vicina alla pizzeria delineando la possibilità di accoltellare i fedeli cattolici. Nel mirino ci sono anche gli ebrei con l’indagato che esalta la figura di Masih al-Dajjal (l’Anticristo) che, secondo la dottrina islamica, apparirà nel giorno del giudizio quando musulmani e cristiani si uniranno per combattere gli “israeliani ebrei”. Il gip chiarisce nell’ordinanza che, nel momento in cui dice sì alla Procura per l’arresto, si basa sull’adesione ideologica “alla dottrina integralista islamica senza che tuttavia siano emersi elementi concreti per collegare il suo contributo all’associazione terroristica”.

Stiamo importando il meglio.

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