“Non c’è metafora più cretina di quella che rappresenta la giustizia come una bilancia tenuta in mano da un angelo bendato e dotato di spada. La bilancia dev’essersi rotta da un bel po’, in compenso l’angelo ci vede benissimo, e di solito evita di pungere con il suo spiedo chi è potente e gli è affine per bandiera e parentela. A parte che non sono neanche tanto convinto, a questo punto, che sia un angelo…“
Davide Giacalone, nel libro “La Malagiustizia”, affronta senza timori reverenziali il mondo della giustizia italiana, sollevando il velo sulle sue numerose storture e inefficienze. L’autore non si limita a criticare, ma fornisce anche consigli pratici per navigare in questo sistema complesso senza dover essere Tarzan o Possedere un portafoglio senza fondo per pagare gli avvocati più costosi.
Il libro è un antidoto alla noia e all’indifferenza che spesso circondano il tema della giustizia. Le lamentele per la lentezza dei processi, la politicizzazione della magistratura e altre problematiche sono note e stantie, ma Giacalone riesce a presentarle in modo vivace e coinvolgente.
La sua analisi è chiara: la giustizia per funzionare meglio deve diminuire il tasso di giustificazionismo del delitto e abbandonare la sociologia e l’ideologia, aumentando invece l’umanità. Umanità non significa chiudere un occhio, ma cercare di capire e non infierire con atteggiamenti sprezzanti9 verso chi ha commesso dei reati. Ci vuole rispetto nei confronti degli indagati e degli imputati, che spesso, tranne i delinquenti incalliti, sono intimoriti e portati a dire qualunque cosa pur di compiacere chi li interroga.
Giacalone denuncia l’obbligatorietà dell’azione penale, che di fatto si traduce nella discrezionalità delle Procure di perseguire questo o quel reato, spesso secondo le mode del momento. Propone di disciplinare le precedenze, ponendo al primo posto i reati contro l’ordine pubblico.
Una delle riforme più urgenti, secondo l’autore, è quella di garantire l’effettiva terzietà del giudice, separando nettamente le carriere dei magistrati inquirenti e giudicanti. Solo così si potrà evitare che i giudici vedano i PM come colleghi che possono influenzare la loro carriera. Questo aiuterebbe a rompere il monolite del potere giudiziario, che troppo spesso invade il campo della politica.
“I pubblici ministeri, come previsto dal codice, dovrebbero cercare la verità con lealtà e scrupolo, non solo la consapevolezza. Il processo è una tragedia umana e chi accusa deve esercitare l’umanità, una qualità fondamentale per chiunque detenga un potere.“
Giacalone riconosce che ci sono magistrati capaci di esercitare la ragione su casi difficili, ma lamenta la mediocrità che pervade la categoria. Invoca la prudenza nei processi indiziari e un uso più meditato di periti e consulenti, spesso sopravvalutati e talvolta ignoranti, che possono rovinare vite con le loro conclusioni errate.
La tecnologia avanzata dovrebbe finalmente entrare nei palazzi di giustizia, superando la burocratizzazione cartacea che ancora domina. L’informatizzazione migliorerebbe l’efficienza e la trasparenza del sistema.
In conclusione, Giacalone non pretende che la giustizia diventi infallibile, ma si accontenta di una giustizia normale, che non si accanisca sulle persone. “La Malagiustizia” è un libro che illumina, scuote e offre speranza, invitando a una riflessione profonda e a un’azione concreta per migliorare il nostro sistema giudiziario.