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Associazione Rurale Italiana: “3/4 dei fondi vanno alle grandi aziende”

Per quale motivo un comparto che assorbe circa 1/3 del bilancio pluriennale europeo è arrivato a portare i trattori nelle città?

Molti se lo saranno domandato guardando in tv le immagini dei trattori in protesta lungo le strade d’ Italia e all’estero. Ma quella dell’agricoltura “sovvenzionata” è un’immagine che bisogna guardare da vicino, cercando di capire dove vanno veramente i fondi, e a chi.

Sicuramente non ai piccoli coltivatori: uno studio dell’Associazione Rurale Italiana (Ari) sui pagamenti diretti della Politica Agricola Europea agli agricoltori italiani nel 2021 ha riscontrato che il 52,85% prende da zero (sì, neanche un euro) a 1250 euro. L’83% riceve appena il 23% dei finanziamenti, non oltre 5 mila euro a testa.

Dunque, a chi è andato il grosso dei tre miliardi e mezzo di euro distribuiti nel 2021? Alle aziende medio-grandi, che rappresentano solo il 17% del totale, vanno oltre i tre quarti dei fondi (il 77%). Lo 0,03% delle aziende ha ricevuto il 14% dei finanziamenti: tra i 250 mila e i 300 mila euro a testa. Il criterio adottato è in base alla quantità di ettari di terreno posseduto: il 64% degli agricoltori italiani (e le proporzioni nel resto dell’Europa non sono troppo dissimili) ha meno di cinque ettari di terreno, e quindi ottiene pochissimo da Bruxelles. E non si tratta di anziani che coltivano pomodori e patate per hobby, ma di persone che lavorano con grande sforzo, tutto il giorno, per un reddito molto basso. Se si contano le aziende che arrivano a 10 ettari si sfiora l’80% degli agricoltori italiani.

Ecco perché chi protesta, invadendo le autostrade con i trattori, ce l’ha con le grandi organizzazioni, soprattutto con Coldiretti, la più vicina al governo, in particolare Lollobrigida. L’accusa è di aver favorito criteri di distribuzione che privilegiano solo i grandi produttori, che adesso incassano anche il ritiro della proposta della Commissione UE sul taglio dei fitosanitari. Secondo le organizzazioni come Ari, costituite solo da coltivatori diretti, ma anche come Uncem (l’Unione dei Comuni e delle Comunità Montane), che guarda con attenzione alla tutela dei piccoli agricoltori, tra i pochi rimasti ormai a fermare il deterioramento delle aree interne, andrebbero rafforzati invece altri criteri di distribuzione dei fondi, che guardino soprattutto alla sostenibilità dei metodi di coltivazione e al ruolo sociale e ambientale delle aziende agricole.

Tutelare l’agricoltura significa anche tutelare una parte importante della nostra economia. I settori di agricoltura, silvicoltura e pesca nel 2022, rileva Openeconomics in uno studio sull’impatto della spesa agricola sull’economia, hanno realizzato una produzione che vale ben 66,2 miliardi di euro. Il valore aggiunto del solo settore agricolo è di 35,4 miliardi, il 2,11% del totale. Ma va considerato anche l’impatto indiretto della spesa agricola (intesa come acquisto diretto di beni e servizi necessari alle attività agricole, fino poi al reinvestimento delle entrate fiscali in spesa pubblica) sul PIL nazionale.

Openeconomics calcola che l’impatto complessivo arrivi a 163 miliardi: la percentuale di questo “PIL indiretto” arriva al 12%, a beneficio di tutto il territorio nazionale, non solo delle aree agricole. La maggior parte di quest’impatto positivo si riversa sui servizi, ma un 20% va anche all’industria. Inoltre l’agricoltura genera oltre 1,7 milioni di occupati a tempo pieno.

Tra le proteste gira questa scritta “No farm, no food, no future”. Niente fattorie, niente cibo, nessun futuro”.

Sacrosanto.

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