Le imprese europee in allarme sulla proposta di direttiva europea sulla Corporate Responsibility Due Diligence giunta alla votazione chiave in programma nella giornata di oggi, con i riflettori puntati, in particolare, su Italia e Germania, la cui astensione, di fatto, consentirebbe di riaprire il tavolo dei negoziati.
La cosiddetta direttiva Csddd, nota anche come Supply Chain Act, prevedrà dovere di diligenza (“due diligence”) delle imprese ai fini della sostenibilità sociale, ha l’obiettivo di promuovere la sostenibilità ambientale e sociale in tutte le catene di fornitura nell’ottica di sviluppare un’economia più responsabile. Le imprese dovranno scongiurare che le loro operazioni abbiano effetti negativi sui diritti umani, come il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori, e sull’ambiente, come ad esempio inquinamento e perdita di biodiversità. La Direttiva che dovrebbe entrare in vigore quest’anno, riguarda tutte le aziende UE con almeno 500 dipendenti e con un fatturato netto di 150 milioni di euro. Per queste aziende la CSDDD rappresenta un adempimento obbligatorio a partire dal 2026. Per le imprese con più di 250 dipendenti e con un fatturato netto superiore a 40 milioni di euro, l’orizzonte temporale per adeguarsi alla CSDDD è previsto per il 2028.
Sulla carta sarebbe una intenzione lodevole se non fosse che il ” monitoraggio” ovviamente si traduce in un considerevole aumento dei costi per le imprese, specie nell’attuale congiuntura, caratterizzata da incognite e criticità.
La Germania, nel frattempo, ha già fatto sapere che si asterrà (in controtendenza alla linea “verde” sempre tenuta).
Ora si aspetta Roma, “Per le regole della maggioranza qualificata serve l’astensione anche dell’Italia per fermare il testo attuale, macchinoso e ingestibile, di una direttiva critica per le imprese e per la competitività europea – sottolinea Stefano Pan, delegato del presidente di Confindustria per l’Europa e vicepresidente di BusinessEurope.