Il Pil mondiale è arrivato a 105 trilioni di dollari (migliaia di miliardi, davvero una cifra grossa) nel 2023, dice il Fondo monetario internazionale(FMI). Gli Stati Uniti hanno recuperato solo nel 2023 (+2,5%) le proiezioni di crescita (si pensi che il Fmi prevedeva che nel 2022 sarebbero cresciuti del 5,2 e invece si sono fermati al 2,1%), la Cina è in frenata, l’Eurozona ha schivato per un pelo la recessione, trascinata in basso dal socio più forte, la Germania. Sta di fatto che il livello mondiale del Pil, i 105 trilioni, sarebbe stato più alto di oltre 2 trilioni se il pianeta non fosse incappato nelle peggiori guerre dal 1945 ad oggi, che hanno generato conseguenze a catena, delle quali – oltre all’orrore per decine di migliaia di morti – ha fatto le spese l’economia.
Duemila miliardi – come il Pil dell’Italia – persi. Per l’esattezza, di mancata crescita: è il costo dei conflitti in atto. Ci sono altri fattori, dall’inflazione che mortifica gli investimenti ai rialzi dei tassi, dalla frammentazione che ha sfaldato gli antichi equilibri alle strozzature nelle catene dell’offerta (Suez ma anche Malacca al centro delle tensioni indopacifiche e Panama trasformato in una palude dalla siccità). «Ma a ben guardare tutti o quasi questi fattori hanno origine o sono stati aggravati in modo decisivo dal dramma primigenio: le guerre e le tensioni che funestano il mondo», commenta Angelo Baglioni, economista internazionale della Cattolica.
Il calcolo del Pil mancato mette a confronto la media delle previsioni formulate da think-tank(serbatoio di pensiero) e istituzioni globali negli ultimi mesi del 2021 (subito prima dell’attacco russo del febbraio 2022) con i rendiconti via via calcolati, fino al più recente aggiornamento dell’Fmi di martedì scorso.
La differenza negativa fra quanto preventivato e quanto conseguito è netta: la crescita mondiale doveva essere del 4,9% nel 2022 e invece è stata del 3,2 ovvero l’1,7% in meno; nel 2023 era in preventivo uno sviluppo del 4,3 e invece le proiezioni sono del 3,1%, l’1,2% in meno. In totale, il 3% di crescita perduta (un po’ meno per le imperfezioni aritmetica) rispetto al valore conseguito a fine 2021: era di 99 trilioni ed è salito del 6,2% anziché del 9,2%. Appunto fino a 105 trilioni: sarebbero stati 107 in condizioni di maggior tranquillità.
Solo gli USA sono riusciti almeno nel 2023 a rispettare la crescita potenziale, per la forza intrinseca dell’economia ma anche perché l’industria bellica lavora intensamente (anch’essa contribuisce al Pil), l’Europa invece è stata severamente penalizzata. Della Germania si è detto, ma anche l’Italia è cresciuta nel 2022 del 3,7% anziché del 4,2%, e dello 0,7% anziché dello 0,9% nel 2023.
Secondo Bruxelles, l’Eurozona ha sfiorato la recessione. «L’Europa, in particolare Germania e Italia, Paesi con un forte interscambio con l’estero, sono state penalizzate dagli effetti della guerra: inflazione, diminuzione dei commerci, i recenti problemi di Suez, oltre al caro denaro che è a sua volta indotto dall’inflazione», puntualizza Brunello Rosa, docente alla London School of Economics. «È pur vero – dice Rosa – che l’inflazione era già “partita” alla fine del 2021 sulla spinta della prepotente ripresa dei consumi. Però la guerra è stata un “booster” importante».
Com’è scaturita l’inflazione
Aggiunge l’economista Innocenzo Cipolletta: «Le condizioni dell’offerta erano profondamente cambiate durante la pandemia. Tanti ristoranti avevano chiuso, per dirne una, ma soprattutto le fabbriche e tutte le catene logistiche erano in disarmo, quando all’improvviso è scoppiata la ripresa che si scontrata con un’offerta insufficiente. Così è iniziata l’inflazione, che però non sarebbe arrivata ai livelli dove è giunta se non fosse intervenuto il fattore guerra, basta pensare all’energia, a devastare il quadro».
In questo scenario, le proiezioni per quest’anno sono caute. Il Fmi ha rialzato leggermente la prospettiva con un 3,1 anziché 2,9%, perché i previsti ribassi dei tassi in parte compensano i punti di crisi. Però, visto che le operazioni belliche anziché cessare stanno aumentando, resta possibile che anche quest’anno la crescita sarà colpita. «Il ritmo dell’espansione rimane lento, i rischi rimangono e le turbolenze possono essere davanti a noi», ha avvertito Pierre-Oliver Gourinchas, consigliere economico del Fmi. Siamo ben al di sotto, ricorda lo stesso Fmi nel suo report del 30 gennaio, della crescita mondiale storica (2000-2019) del 3,8%. Poi c’è stata la parentesi del Covid quando ogni parametro è saltato (-3,1% il Pil mondiale del 2020 sempre secondo il Fmi), seguito dall’effetto-rimbalzo del 2021 di cui si parlava (+5,9%). A partire dal 2022, il sentiero si supponeva che potesse rientrare entro canoni prevedibili. Macché.
La Russia e la Cina
L’affidabilità delle stime provenienti da ciascun Paese è compromessa, non in Europa né in America, ma ad esempio in Russia: all’inizio del 2024 hanno cominciato a circolare le cifre sull’attività precedente e quella prevista. Mosca sostiene di resistere splendidamente, e anzi di aver sviluppato un’efficace “politica di guerra” bypassando alla grande le sanzioni. Lo stesso Fmi l’accredita di un +3% nel 2023 dopo un -1,2% nel 2022. Senonché il Tesoro americano, con un report che è venuto a illustrare a Roma pochi giorni fa Wally Adeyemo, numero due della Yellen, rovescia la prospettiva e parla di un -2,5% nel 2022 e di un’analoga perdita nel 2023. Non solo la Russia sopravvivrebbe con un Pil lontano anni luce dal potenziale, ma la popolazione è ridotta allo stremo mentre la spesa militare supera il 6%. «C’è un po’ di propaganda da tutte e due le parti», commenta Rosa.
Ancora più oscura la situazione della Cina. La crescita secondo il Fmi è stata del 3% nel 2022 e del 5,2% nel 2023, ma le banche d’investimento non si fidano e usano – per capire le esatte dimensioni del colosso d’Oriente – immagini satellitari per verificare l’estensione dei campi realmente coltivati, verifiche sul campo (consultazione dei registri portuali, conta dei container) sullo shipping da Shanghai, e via dicendo. La crescita mondiale si misura anche così. Stiamo proprio alla frutta.
Ci vogliono trilioni di scuse per il male recato dalle guerre.
(Fonte:LaRepubblica)