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American Federal Reserve

Altra pausa per la Federal Reserve. La banca centrale americana tiene fermi i tassi d’interesse fra il 5,25% e il 5,50% ma non lascia intendere che il ciclo di ribassi possa essere prossimo, anche se evidenzia che comincerà quest’anno. Gli investitori sono già pronti a scommettere che ci sia margine per un cambio di ritmo nel breve. Occhi fissi sulla riunione del 19 e 20 marzo, quella che potrebbe dare il via alle danze dei tagli che, secondo il consenso dei mercati finanziari, potrebbero superare i 100 punti base entro la fine del 2024. L’impatto della crisi del Medio Oriente non dovrebbe limitare l’azione del Federal Open Market Committee (Fomc), il braccio operativo della Fed. Più che altro, sarà cruciale l’andamento dell’economia domestica. Fattore cruciale nell’anno delle elezioni. La prima riunione dell’anno di Jerome Powell si è aperta con le pressioni degli investitori istituzionali. Il numero uno della Fed, dopo mesi di detto-non-detto, ha continuato a non dare indicazioni nette sulla prima sforbiciata al costo del denaro. Quello che è certo è che la lotta all’inflazione che ha contraddistinto gli ultimi due anni è quasi del tutto vinta. A tal punto che nella nota del Fomc si evidenzia che il percorso finora condotto è stato in larga parte positivo. “Gli indicatori recenti suggeriscono che l’attività economica si è espansa a un ritmo sostenuto. L’aumento dei posti di lavoro si è moderato dall’inizio dello scorso anno, ma rimane forte, e il tasso di disoccupazione è rimasto basso”, si fa notare. L’inflazione si è attenuata nell’ultimo anno, certo, “ma rimane elevata”. Per tale motivo, il Fomc cerca “di raggiungere il massimo dell’occupazione e dell’inflazione al tasso del 2% nel lungo termine”. E ritiene che “i rischi legati al raggiungimento degli obiettivi in materia di occupazione e inflazione stiano raggiungendo un migliore equilibrio”. Le prospettive economiche, tuttavia, “sono incerte” e il Fomc “resta molto attento ai rischi di inflazione”. Quello che è sicuro, come sottolinea la Fed, è che “non sarà opportuno ridurre l’intervallo obiettivo finché non avrà acquisito maggiore fiducia che l’inflazione si sta muovendo in modo sostenibile verso il 2%”. Inoltre, il Fomc “continuerà a ridurre le proprie partecipazioni in titoli del Tesoro, debito di agenzie e titoli garantiti da ipoteca di agenzie, come descritto nei piani precedentemente annunciati”. Una flessibilità totale che permette a Washington di giocarsi le carte migliori nei prossimi mesi. Le avvisaglie di un processo di stabilizzazione della politica monetaria americana c’erano già a dicembre. Lo fa notare in modo chiaro Xiao Cui, senior economist di Pictet Wealth Management. “Lo spostamento verso un orientamento neutrale della politica monetaria potrebbe essere guidato principalmente dalla disinflazione”, spiega. Anche se in generale i dati sul Pil e sulla crescita hanno sorpreso in positivo, fa notare, “l’inflazione si è ridotta più di quanto preventivato dal Fomc: a dicembre l’inflazione core è infatti scesa al 2,9% su base annua (il primo valore massimo biennale dal 2021)”. Ci sono alcuni elementi di supporto per questa tesi, secondo l’economista di Pictet: “Il momentum dell’inflazione, misurato in tassi annualizzati a 3 e 6 mesi, è sceso al di sotto dell’obiettivo della Fed. Sebbene i dati principali del mercato del lavoro rimangano forti, i dettagli sottostanti suggeriscono che il mercato del lavoro continua a raffreddarsi in modo ordinato, smorzando i timori di surriscaldamento”. A conferma che lo stato dell’economia americana sia ancora positiva giunge anche dall’analisi di Carlo Benetti, market specialist di GAM (Italia) Sgr.

Fa notare alcuni aspetti interessanti legati all’andamento dei listini azionari. “Nell’ultimo trimestre del 2023 l’economia americana è cresciuta al tasso annualizzato del 3,3%, inferiore al 4,9% dei tre mesi precedenti ma superiore alle attese”, evidenzia Benetti. Che aggiunge: “Anche la crescita del Pil nell’intero anno, 3,1%, è stata superiore alle aspettative e i mercati festeggiano, lo S&P 500 e il Nasdaq 100 hanno messo a segno nuovi massimi, gli investitori continuano a scommettere sulle potenzialità della tecnologia e sui titoli growth”. Ne deriva che “la delusione per lo spostamento in avanti dei primi tagli dei tassi è più che compensata dalle prospettive degli utili in un ambiente economico che sta dimostrando una notevole capacità di resistenza all’inasprimento delle condizioni finanziarie”. GAM: “L’inflazione rallenta, i prezzi al consumo sono aumentati del +1,7% nel quarto trimestre, in calo rispetto al 2,6% di tre mesi prima. L’inflazione di base, che esclude i prezzi di beni alimentari e dei carburanti, è sotto il fatidico 2%”. Numeri che garantiscono alla Fed diversi spazi di manovra. Le previsioni degli analisti delle banche d’affari sono varie, ma in genere sono votate alla cautela. Barclays, Bank of America, Danske, Morgan Stanley e Nomura vedono 100 punti base di tagli dei tassi d’interesse nel corso del 2024, con in media una sequela di 25 punti base da marzo a fine anno. In pratica, uno a trimestre. La Goldman Sachs vede il primo taglio a marzo, per poi continuare a maggio e giugno, finendo con sforbiciate trimestrali, per complessivi 125 punti base per l’anno in corso. Citi stima la prima riduzione dell’attuale livello a giugno, per poi continuare nei meeting seguenti e complessivi 125 punti base. Il culmine è rappresentato da Ubs. La banca svizzera vede 275 punti base di sforbiciata a partire da marzo per la Fed di Powell. Diverso è il discorso per il tapering, ovvero l’assottigliamento del portafoglio della banca centrale americana. L’annuncio sul rafforzamento della misura, secondo le banche d’affari, è previsto entro questa estate. Resta da capire se ci sarà la decisione del lancio del programma definitivo, già nel vertice di marzo o sarà prossima. In tal caso, gli occhi sono puntati più a maggio che a giugno, al netto degli sviluppi geopolitici in atto.

(Fonte:LaStampa)

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