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Fondo monetario Internazionale

L’inattesa resilienza degli Stati Uniti e di molte economie emergenti, lo stimolo fiscale della Cina: sono i fattori che consentono al Fondo monetario internazionale di alzare leggermente le stime sulla crescita globale.

Nel blog che accompagna il nuovo World economic outlook, l’economista Pierre-Olivier Gourinchas lo scrive chiaramente: “Le nubi si stanno diradando”. Il mondo si avvia verso l’ultimo miglio dell’atterraggio morbido che è comunque un risultato ottimale, considerando i tanti inciampi che hanno caratterizzato gli ultimi anni: l’inflazione sta finalmente scendendo – dopo aver falcidiato le tasche delle famiglie – e nonostante le strette monetarie l’economia resta in crescita.

Vietato tagliare i tassi troppo presto, ma attenzione anche a non rimandare troppo: nelle raccomandazioni del Fondo monetario internazionale alle banche centrali, alla consueta enfasi sui rischi di un allentamento prematuro, si affianca ora l’indicazione a non ritardare più del necessario, per non frenare oltre il dovuto una crescita globale già bassa, e stimata al 3,1% nel 2023 e nel 2024. Sono i numeri del World Economic Outlook, presentato ieri: per l’Italia, la crescita è indicata allo 0,7% sia nel 2023 che nel 2024.

Scrive l’Fmi nel suo rapporto: «Con l’inflazione che scende verso i livelli obiettivo, la priorità a breve termine per le banche centrali è quella di un atterraggio morbido, senza abbassare i tassi prematuramente, né ritardare troppo».

Accanto al focus sulla lotta all’inflazione, finora dominante anche nelle analisi dell’Fmi, si fanno insomma largo le ragioni della crescita economica. Nel blog di presentazione del report, il capoeconomista del Fondo, Pierre-Olivier Gourinchas, spiega che le banche centrali devono «evitare un allentamento prematuro, che porterebbe a un rimbalzo dell’inflazione». Al tempo stesso, «sarà ugualmente importante orientarsi verso una tempestiva normalizzazione monetaria». Per Gourinchas: «Non farlo, metterebbe a repentaglio la crescita e rischierebbe di far scendere l’inflazione al di sotto dell’obiettivo».

«La mia sensazione – scrive Gourinchas – è che gli Stati Uniti, dove l’inflazione sembra più guidata dalla domanda, devono concentrarsi sul primo rischio», quello di un taglio prematuro. Al contrario, «l’Eurozona, dove l’impennata dei prezzi dell’energia ha giocato un ruolo sproporzionato, deve gestire di più il secondo rischio», quello di ritardare troppo.

Nelle posizioni dell’Fmi, insomma, si sente l’eco del dibattito interno alla Bce. Il 17 gennaio, da Davos, la presidente Christine Lagarde ha affermato di ritenere probabile un taglio dei tassi in estate, contraddicendo i mercati, che scommettono su un intervento già in primavera. Anche per il capoeconomista dell’Fmi, Gourinchas, «i mercati appaiono eccessivamente ottimisti sulle prospettive di un precoce taglio dei tassi». In conferenza stampa, Gourinchas ha aggiunto che i tassi resteranno ai livelli attuali per la Fed, la Bank of England e la Bce fino alla seconda metà del 2024.

Su tutto aleggia l’incertezza generata dalle crisi in Medio Oriente e nel Mar Rosso. Gli impatti, spiega Gourinchas, sono «finora limitati, ma la situazione è volatile».

L’atterraggio morbido è alla portata: il Fondo ha alzato le stime sulla crescita globale nel 2024 dello 0,2% (al 3,1%), rispetto alle previsioni di ottobre 2023, «a causa di una capacità di ripresa superiore al previsto negli Stati Uniti e in alcune grandi economie emergenti e in via di sviluppo», come Cina e India.

«Siamo molto lontani da uno scenario di recessione globale», ha puntualizzato Gourinchas. La crescita per il 2024 e 2025 (3,2%) resta tuttavia storicamente bassa e inferiore alla media annua del 3,8% registrata nel periodo 2000-2019.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’Fmi ora vede un aumento del Pil del 2,1% nel 2024, con una revisione al rialzo dello 0,6%, rispetto a ottobre 2023. Per il 2023, la crescita stimata è del 2,5%, contro l’1,4% indicato a gennaio dello scorso anno.

Secondo il Fondo, la crescita nell’Eurozona dovrebbe risalire dallo 0,5% del 2023 (-0,3% rispetto a ottobre) allo 0,9% nel 2024 e all’1,7% nel 2025. La ripresa dovrebbe essere alimentata dal rimbalzo dei consumi delle famiglie. La Germania dovrebbe uscire dalla recessione (-0,3% nel 2023), ma la crescita resterà molto bassa quest’anno (0,5%). Anche più bassa di quella italiana (0,7%).

La Cina va verso un aumento del Pil del 4,6% nel 2024, con una revisione al rialzo dello 0,4% rispetto a ottobre 2023, che riflette l’aumento della spesa governativa in opere contro i disastri naturali. L’India, infine, si attesta su ritmi di crescita del 6,5%, sia nel 2024 che nel 2025.

E poi c’è la Russia. Nel 2023, la crescita è vista al 3%, contro lo 0,3% indicato a gennaio dello scorso anno. E nel 2024 le previsioni puntano su un incremento del Pil del 2,6%, con una revisione al rialzo dell’1,5% rispetto a ottobre 2023. È l’effetto dell’elevata spesa militare e dei consumi privati, sostenuti dalla crescita dei salari. Un’economia di guerra, insomma, che potrebbe pagare dazio nel medio termine, ma che per ora regge l’urto molto meglio di quanto previsto all’inizio del conflitto in Ucraina.

Si aggrava purtroppo la crisi dell’Argentina: dopo la contrazione dell’1,1% nel 2023, quest’anno il Pil dovrebbe subire un calo del 2,8%, con stime tagliate del 5,6% rispetto a ottobre.

Il capoeconomista dell’Fmi, Gourinchas, punta infine il dito sul debito pubblico, ingigantito a livello globale da pandemia e crisi energetica. «La sfida più grande», afferma, è riportare in ordine i conti pubblici. Per questo, «le agevolazioni introdotte per compensare gli alti prezzi dell’energia dovrebbero essere eliminate subito, visto che questa crisi è ormai alle spalle».

(fonte:sole24ore)

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