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Crescita in frenata causa inflazione e tensioni geopolitiche internazionali

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 L’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse ha provocato un rallentamento della crescita, ma non una recessione, come ho già scritto nel precedente articolo. Il 2023 si chiude con una crescita media del PIL dello 0,7%, che sarà seguita da un ulteriore rallentamento al +0,4% nel 2024, per la prosecuzione della debolezza dei consumi delle famiglie a causa dell’elevato livello dei prezzi e della perdita di potere d’acquisto dei salari, cui si sommerà il venir meno degli effetti espansivi del Superbonus 110%. Solo nel 2025, con un +0,9%, il PIL tornerà a crescere sui ritmi medi pre-crisi (+0,8% nel 2026). Sono alcune delle evidenze principali sulle prospettive dell’economia italiana per il triennio 2024-2026 contenute nel Rapporto annuale elaborato da AreaStudi Legacoop in collaborazione con Prometeia.

Si tratta di valori significativamente meno ottimistici di quelli contenuti nella NADEF, che prevede, per il triennio, incrementi rispettivamente dell’1,2%, 1,4% e 1,0%. L’inflazione, che nel 2023 ha chiuso con un +5,8% tendenziale, è prevista convergere stabilmente verso il 2% (2,5% nel 2024; 2% nel 2025) al netto di nuove spinte inflazionistiche che potrebbero derivare da una possibile rincorsa tra prezzi e salari e da un’estensione del conflitto in Medio Oriente, con riflessi sui prezzi delle materie prime. Al proposito, per l’industria manifatturiera l’indice Prometeia-APPIA, relativo ai prezzi delle commodities che influiscono sui costi di produzione, prevede, a scenario attuale, una prosecuzione della flessione dei prezzi anche nel 2024, ma molto più contenuta (-5,3%) rispetto al -25,5% a consuntivo 2023; pesano le quotazioni del petrolio ancora elevate e quelle del gas strutturalmente superiori rispetto al passato, insieme con la crescente domanda di metalli per la transizione e la persistente debolezza dell’Euro.

Sul fronte degli investimenti, l’attuazione del PNRR, con un flusso addizionale di oltre 20 miliardi ogni anno dal 2024 al 2026, trainerà gli investimenti pubblici in costruzioni che, però, non riusciranno a compensare gli effetti del venir meno del Superbonus, con una flessione dei volumi del 6,2% a consuntivo 2023 e prevista accentuarsi nel 2024 (-12,6%).

“Il Rapporto annuale prodotto da Legacoop in collaborazione con Prometeia – ha affermato Simone Gamberini, Presidente di Legacoop – è giunto alla quinta edizione e negli anni scorsi ha evidenziato una grande sintonia tra gli andamenti del Paese e quelli del nostro sistema di imprese cooperative. Oggi, purtroppo, questa sintonia è elemento di preoccupazione”. “Questa situazione congiunturale, complessa sotto ogni punto di vista, non deve tuttavia farci scordare quel che abbiamo visto con chiarezza solo fino a pochi mesi fa, e che i numeri, peraltro, non smettono di ricordarci: l’Italia è un paese dai fondamentali solidi e dalle risorse ineguagliabili, e il suo sistemaproduttivo, tra cui si annoverano le nostre cooperative attive in ogni settore, è capace, se indirizzato con politiche industriali adeguate e tempestive, di slanci tanto improvvisi quanto intensi”, ha però aggiunto.

Lo studio contiene anche un focus sugli squilibri che provocherà la transizione demografica in attualmente in esecuzione, con la sua profonda influenza sulla numerosità e le caratteristiche delle persone che entreranno e usciranno dal mercato del lavoro. La popolazione italiana, che ha raggiunto il picco di 60 milioni e 345mila abitanti nel 2014, da allora è diminuita di circa 1,5 milioni. Quella in età lavorativa (15-64 anni) è diminuita di 1,8 milioni dal 2012, nonostante il contributo dell’immigrazione che non ha pienamente compensato la dinamica dovuta al calo dei tassi di natalità e all’aumento dei tassi di mortalità.

Il rapporto di AreaStudi Legacoop e Prometeia stima un saldon egativo tra coloro che entrano nel mercato del lavoro e coloro che escono di 100mila persone in media tra il 2023 e il 2030. Con differenze legate al livello di istruzione. Il saldo negativo è più ampio tra i lavoratori con basso livello di istruzione (sia maschi che femmine), mentre tra quelli con istruzione secondaria superiore il numero di individui in entrata sembra approssimativamente sufficiente a compensare i lavoratori in uscita. Saldo positivo, invece, nel caso di istruzione universitaria, soprattutto per le donne.

Le donne alla riscossa. Notevole.

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