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Evergrande: un colosso dai piedi d’argilla

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Nel suo momento di massimo splendore, la valutazione era arrivata a superare i 50 miliardi di dollari.

Venerdì scorso, secondo Bloomberg, le sue obbligazioni venivano scambiate a circa 1,5 centesimi sul dollaro. Prima che il titolo venisse nuovamente sospeso. Prima che un tribunale di Hong Kong ordinasse la sua liquidazione. Evergrande oggi ha vissuto un nuovo capitolo, il più triste della sua lenta e inevitabile agonia. Il suo è un esito quasi scontato dopo le immani difficoltà a trovare un accordo coi creditori, per di più mentre il governo cinese ha più volte segnalato di non essere intenzionato a salvare il gigante. Anzi, dallo scorso settembre Xu Jiayin, fondatore di Evergrande ed ex uomo più ricco d’Asia, sarebbe agli arresti domiciliari per presunte «attività illegali».

Come ha fatto a crollare uno dei principali attori della crescita cinese, che nel momento di massima espansione costruisce ben 600 mila appartamenti all’anno? I fattori della crisi erano contenuti già nel prologo iniziale. Nel 1996, quando Xu fonda Evergrande, due tendenze fondamentali della recente storia cinese stanno correndo di gran lena: urbanizzazione ed estensione della classe media. Il settore immobiliare esplode letteralmente, ma lo fa con un modello esposto a rischi finanziari. Evergrande costruisce a debito, prevedendo poi di ripagare con la vendita degli appartamenti. Un modello che ora non è più possibile attuare, dopo la stretta del governo sulle condizioni di credito. È il 2017, al termine del primo mandato di Xi Jinping, quando il governo traccia le «tre linee rosse» per regolamentare il settore immobiliare e ridurre i rischi della sua esposizione debitoria. Xi, all’alba del suo secondo mandato e soprattutto con la rimozione del vincolo dei due mandati, sa che la Cina ha bisogno di cambiare modello di sviluppo. Abbassando i rischi debitori e schermandosi dalle turbolenze esterne, con il programma di autosufficienza tecnologica Made in China 2025 e in seguito col modello della «doppia circolazione» mirato a trasformare la Cina da «fabbrica del mono a società di consumi interni».

Il cambio di paradigma pone difficoltà a Evergrande, che nei suoi oltre 20 anni di storia ha accumulato l’incredibile cifra di 305 miliardi di dollari di debiti. In una prima fase, comunque, il governo sembra assistere il gigante ordinando anche ad altri colossi privati di intervenire in suo aiuto (tra questi, anche la Suning proprietaria dell’Inter). Poi però c’è la pandemia di Covid-19 e la crisi si aggrava in modo esponenziale, anche perché lavori e consumi si interrompono a lungo. Ad agosto 2021 si entra nella nuova fase della crisi, quando Evergrande interrompe la costruzione di molti progetti a causa del ritardo nei pagamenti. La Banca centrale cinese non si fa intenerire e ribadisce le linee tracciate da Xi: vanno ridotti i rischi e va data priorità alla stabilità.

Nei mesi successivi, l’azienda inizia ad andare in default su una serie di obbligazioni, soprattutto offshore. Nonostante vari tentativi, non riesce mai ad approntare un vero piano di ristrutturazione del debito e alcune delle attività dell’azienda vengono spacchettate con l’intervento dei governi provinciali. Ma più che un salvataggio si tratta di una supervisione, nel tentativo quantomeno di favorire il completamento dei progetti immobiliari già in corso e interrotti. A dicembre 2022, Evergrande annuncia di aver ripreso la costruzione di 631 unità immobiliari, ma i conti non migliorano. Lo scorso luglio l’azienda registra una perdita netta di 476 miliardi di yuan e 105,9 miliardi di yuan per il 2021 e il 2022. Il nuovo segnale che la barca sta naufragando, soprattutto sul fronte internazionale, è la richiesta di protezione ai sensi del Capitolo 15 del codice fallimentare degli Stati Uniti, per evitare cause e vincolare i beni.

Ad agosto, la negoziazione delle azioni di Evergrande riprende dopo 17 mesi, con la perdita del 79% del valore di mercato rispetto all’ultima negoziazione. A settembre si apprende che il fondatore Xu si troverebbe agli arresti domiciliari. Evergrande afferma di non essere in grado di soddisfare i requisiti per l’emissione di nuove note poiché la sua unità onshore di punta Hengda Real Estate Group è sotto indagine dell’autorità cinese di regolamentazione dei titoli. Alla vicenda si somma quella delle ultime settimane, quando il vicepresidente dell’unità di veicoli elettrici, Liu Yongzhuo, è stato arrestato.

Tra ottobre e dicembre, i tentativi di un accordo sui piani di ristrutturazione del debito sono andati a vuoto, nonostante i rinvii e il periodo di tregua offerto dal tribunale di Hong Kong, che arrivato all’appuntamento del 29 gennaio non ha potuto far altro che ordinare la liquidazione di Evergrande.

Che cosa succede ora? Una volta emesso l’ordine di liquidazione, verrà nominato un liquidatore provvisorio e poi un liquidatore ufficiale che prenderà il controllo e si preparerà a vendere gli asset del costruttore per ripagare i debiti. I liquidatori potrebbero proporre un nuovo piano di ristrutturazione del debito ai creditori offshore che detengono 23 miliardi di dollari di debiti di Evergrande, se dovessero stabilire che la società dispone di beni sufficienti o se dovesse comparire un investitore. Il liquidatore potrebbe prendere il controllo delle filiali di Evergrande in tutta la Cina continentale sostituendo i loro rappresentanti legali uno per uno, un processo che potrebbe richiedere mesi o anni. Anche se il liquidatore dovesse prendere possesso delle unità che hanno progetti onshore, molte di queste sono già state rilevate dai creditori, congelate dai tribunali, hanno ancora poco valore o sono addirittura in passivo a causa del calo dei prezzi degli immobili.

La caduta di Evergrande, seppure ampiamente smentita e con il governo che non ha fatto molto per evitarla, può provocare qualche scossa sui mercati dei capitali e rappresentare un ulteriore segnale di sfiducia per il settore immobiliare, che tradizionalmente riveste un ruolo cruciale per la crescita cinese. Allo stesso tempo, grande attenzione su due elementi. Il primo è la sorte dei creditori, che si aspettano un tasso di recupero inferiore al 3%. Il secondo è il completamento delle migliaia di case già vendute, un tema che sta particolarmente a cuore delle autorità cinesi desiderose di evitare che la questione possa avere contraccolpi seri sul fronte sociale e dell’ordine pubblico, visto che già negli anni scorsi ci sono state varie manifestazioni di protesta dei creditori e acquirenti interni.

La sfida di Xi Jing Pin sarà inoltre attutire il colpo del crollo del primo gigante, per evitare un effetto domino in grado di mettere in crisi non solo il settore immobiliare ma anche il tentacolare sistema dei fondi fiduciari e con esso le casse delle province spesso svuotate da un atavico «debito nascosto».

L’economia può presentarsi tanto come un sistema semplice e facile da gestire, quanto un sistema complesso e terribilmente articolato, difficile sia da comprendere che da condurre, fermo restando che ci sono fattori che vanno aldilà della società.

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