Dopo il divorzio con Arcelor Mittal il governo dovrà reperire i capitali privati per garantire un futuro solido e competitivo ad Acciaierie d’Italia. Serviranno, inoltre, nuovi soci in grado di portare denaro e visione d’impresa. Tra i nomi circolati nei giorni scorsi, oltre a Vulcan Green Steel e Metinvest, si fa sempre più concreto anche quello del gruppo Arvedi.
Il divorzio, sia esso consensuale o burrascoso, dello Stato con i franco-indiani di Arcelor-Mittal sarà un punto cruciale ma non un traguardo nella travagliata storia degli stabilimenti ex Ilva. Il duro(!) verrà dopo, quando il governo dovrà trovare i capitali privati per garantire un futuro concreto e competitivo ad Acciaierie d’Italia. Nessuno nell’esecutivo pensa a una nazionalizzazione a lungo termine. Non è più il tempo dell’Iri. Lo Stato prenderà il controllo dell’azienda per dirigerla verso un nuovo assetto societario. Con chi, però, è tutto da scoprire.
17 gennaio termine ultimo per le trattative
I legali di Invitalia e Arcelor Mittal, rispettivamente al 38 e al 62% del capitale, sono al lavoro in questi giorni nel tentativo di arrivare a una separazione consensuale che comporti una uscita ” morbida ” del colosso corporativo franco-indiano. La settimana entrante sarà decisiva. Palazzo Chigi ha indicato mercoledì 17 gennaio come termine ultimo delle trattative, mentre giovedì ci sarà una nuovo incontro con i sindacati dove forse si delineerà definitivamente il percorso da scegliere.
L’uscita di Mittal( se concordata), passando probabilmente tramite indennizzo, permetterebbe alle parti di non cadere in un lungo contenzioso giudiziario. Ma dopo si apriranno partite ugualmente complesse. Servono risorse nell’immediatezza: dai 320 milioni per pagare bollette e fornitori al miliardo per acquistare gli impianti Ilva in amministrazione straordinaria.
Serviranno, inoltre, nuovi soci in grado di portare denaro e visione d’impresa. Il primo per garantire continuità d’attività, la seconda per garantire un futuro sempre più concorrenziale. Tra i nomi circolati ultimamente, oltre a Vulcan Green Steel e Metinvest, si fa sempre più insistente anche quello del gruppo Arvedi, indicato direttamente dal presidente di Federacciai Antonio Gozzi. Per salvare l’ex Ilva – afferma- «non è possibile non pensare al più grande produttore di prodotti piani in Italia che è Arvedi», tra le più affermate realtà siderurgiche in Europa. Ma gli italiani del settore con la capacità di intervenire non sono pochi né alle nuove armi: dalle Acciaierie Venete al gruppo Marcegaglia.
Già nel 2017 Arvedi con Jindal, Cdp e Delfin aveva proposto un’offerta per il polo di Taranto, come cordata antagonista di ArcelorMittal «ma – afferma Gozzi – si preferirono i franco-indiani. Perché, seguendo i parametri europei, si diede più importanza all’offerta che al piano industriale». Il gruppo Arvedi ha chiuso il 2022 con 7 miliardi 756 milioni di utile e un risultato netto di 640 milioni di euro. La principale azienda, Acciaieria Arvedi, realizza prodotti di acciaio al carbonio e ha registrato 3,6 miliardi di ricavi, in aumento del 20% rispetto al 2021.
Staremo a vedere prossimamente quale sarà il ruolo del governo e quale futuro siderurgico si prospetta in Italia.