Un labirinto di obblighi e impegni tipico della peggior burocrazia da romanzo: ecco l’Europa. L’ennesimo scorsoio stretto attorno alle imprese ha il nome di Corporate Sustainability Due Diligence (CSDD) ed è la nuova direttiva che Bruxelles ha in pentola per le aziende dell’Unione Europea. Anche questa geniale trovata fa parte del maxi-pacchetto denominato Green Deal(affare verde), lanciato dall’attuale commissione nell’autunno del 2019, in termini semplici: un secolo fa.
La direttiva delle direttive
Nel febbraio 2022 la Commissione Europea ha adottato una proposta di direttiva sulla due diligence in materia di sostenibilità aziendale. Fine della direttiva è “promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile e ancorare le considerazioni relative ai diritti umani e all’ambiente nelle operazioni e nel governo societario delle società. Le nuove norme garantiranno che le imprese affrontino gli impatti negativi delle loro azioni, anche nelle loro catene del valore all’interno e all’esterno dell’Europa”. Questo è quanto enunciato dalla Commissione. Il testo, pertanto, incombeva sulle aziende da quasi due anni. Il 14 dicembre scorso è stato sancito l’accordo tra Parlamento Europeo e Consiglio su un testo finale, che ora dovrà essere adottato formalmente dalle due istituzioni. Quasi ovviamente prima delle elezioni di giugno 2024.
Sostanzialmente le aziende avranno l’obbligo di adottare la dovuta diligenza nell’isolare, evitare e diminuire le condotte pregiudizievoli dei diritti umani e dell’ambiente. Le aziende dovranno quindi avere dei piani, articolati in processi di individuazione, attenuazione, cessazione e denuncia dei comportamenti, monitorando costantemente la situazione. Questi piani dovranno estendersi anche oltre i confini aziendali e risalire nella catena del valore ai fornitori a monte. Nel caso di aziende che hanno altre aziende come clienti, la due diligence dovrà riguardare anche tali clienti.
Se la direttiva vi sembra astratta, complessa e labirintica non c’è da meravigliarsi: è esattamente così. Si tratta di un’altra delle tante mosse “intelligenti” di Bruxelles. Questa volta si tratta di eliminare il male globale(o globalizzato) attraverso le regole di mercato made in Bruxelles.
La direttiva sul dovere di diligenza delinea le norme in materia di obblighi delle grandi società relativamente ai gravi impatti negativi sull’ambiente e sui diritti umani per la loro catena di attività, che comprende i partner commerciali dell’impresa e, parzialmente, le attività, quali la distribuzione o il riciclaggio.
La direttiva definisce anche norme in materia di sanzioni e responsabilità civile in caso di violazione degli obblighi imposti; impone alle imprese di adottare un piano che garantisca che il loro modello di business e la loro strategia siano compatibili con l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Possibile, ma costoso, innanzi tutto.
NUOVI OBBLIGHI AZIENDALI
La direttiva verrà applicata alle aziende con oltre 500 dipendenti e con un fatturato netto a livello mondiale di oltre 150 milioni di euro, settore finanziario escluso. Tre anni dopo l’entrata in vigore, la direttiva si applicherà anche alle società di paesi terzi con un fatturato netto superiore a 150 milioni di euro generato nell’Ue.
Sulle società di grandi dimensioni pesa l’obbligo di impegnarsi al massimo per adottare e attuare un piano di transizione per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Per quanto riguarda la responsabilità civile, l’accordo rafforza l’accesso alla giustizia dei portatori di interessi. Stabilisce un periodo di cinque anni entro cui i soggetti interessati dagli impatti negativi possono intentare un’azione legale.
Le aziende che rilevano impatti negativi sull’ambiente o sui diritti umani in capo ai loro partner commerciali dovranno terminare i rapporti, se le condotte non terminano. Sono previste sanzioni sino al 5% del fatturato per chi non adempie.
Esiste già una normativa che riguarda la rendicontazione della sostenibilità, non solo ambientale. È la direttiva sul bilancio di sostenibilità (CSRD), che richiede una serie di adempimenti di grande entità. Soprattutto, a rendere onerosa questa direttiva è la indeterminatezza dei confini, ossia l’estensione apparentemente infinita degli obblighi. Entrambe le normative richiedono un’estensione dei processi per la verifica della sostenibilità che vanno ben aldilà dei limiti dell’azienda ed anche oltre i confini continentali.
CONFINDUSTRIA, MEDEF, BDI E BDA hanno da dire in proposito
Le associazioni di industriali dei tre maggiori paesi, l’italiana Confindustria, la francese Medef e le tedesche Bdi e Bda, hanno scritto a Bruxelles evidenziando una serie di problemi di gran rilievo. “Le imprese hanno bisogno di una regolamentazione che metta al centro competitività e crescita. Per contro negli ultimi anni abbiamo assistito a livello UE ad una tendenza ad una regolamentazione sempre più invasiva, che impatta in particolare sulle Piccole e medie imprese e la loro capacità di competere. La proposta di direttiva sulla due diligence ne è un chiaro esempio”, ha detto giorni fa Stefan Pan di Confindustria.
In effetti il rischio concreto è di soffocare nuovamente le imprese, già gravate da una montagna di oneri, e di esporle a rischi che in realtà non sono in gradi di affrontare. Come e in quale misura un’azienda può influenzare i comportamenti di un’altra? Fino a un certo punto è possibile, ma quanto grande è la responsabilità di un’azienda rispetto ad un’altra? Quanto è “oggettiva” la responsabilità dei soggetti sottoposti alla regolamentazione di Bruxelles?
I rischi da parte di Bruxelles
La portata della norma è molto larga, così tanto che, evidenziano le associazioni industriali nella loro lettera, vi è il rischio fondato di andare oltre le normative settoriali già in vigore, generando inevitabilmente confusione e sovrapposizione di norme.
Altro rischio serio è che le aziende siano obbligate a diventare dei veri e propri guardiani, incaricati di scoprire condotte illecite o riprovevoli da parte di altri. Compiti che spettano agli Stati, nella loro articolazione giudiziaria. L’obbligo di avere dei processi di denuncia di condotte “non sostenibili” (qualunque cosa questo significhi) rappresenta una sorta di supplenza del braccio giudiziario. Quanto può essere invasiva l’’attività di monitoraggio delle condotte di altri ?
Si assiste all’assurdo accavallarsi di norme europee che coprono il totus senza tenere conto della realtà produttiva e delle specificità di tanti settori e di tanti altri paesi. La bulimia regolatoria di Bruxelles sta facendo impazzire l’economia europea, già imballata dagli alti tassi e da una governance fiscale che limita la crescita. È strano che quello che si chiama Patto di stabilità e crescita per generare crescita abbia dovuto essere sospeso. Invece di preoccuparsi di dare controllo contraddittorio e guardia alle imprese, la Commissione dovrebbe pensare a come rilanciare una vera crescita economica in Europa.
Crescita economica: è la chiave del Benessere.