Abbattere Hamas, demilitarizzare Gaza e promuovere la deradicalizzazione dell’intera società palestinese sono i tre requisiti per raggiungere la pace che il primo ministro israeliano Nethanyahu ha indicato sul Wall Street Journal. Una volta realizzate queste 3 condizioni, “Gaza potrà essere ricostruita e le prospettive di una pace più ampia in medio oriente diventeranno realtà”. Nel suo intervento Netanyahu non accenna agli ostaggi israeliani ancora prigionieri nella Striscia di Gaza dall’inizio della guerra, ma afferma che “Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e molti altri paesi sostengono l’intenzione di Israele di eliminare Hamas. Di fronte alla minaccia dei leader del gruppo terroristico di voler ripetere i massacri avvenuti crudelmente il 7 ottobre “la distruzione di Hamas è l’unica risposta proporzionale per evitare il ripetersi di simili orribili atrocità. Qualsiasi cosa di meno garantisce solo più guerra e più spargimento di sangue”, dice il primo ministro israeliano. Per raggiungere questo obiettivo, secondo Netanyahu, occorrerà smantellare le capacità militari di Hamas e porre fine al suo controllo politico su Gaza.
Il primo ministro dello stato ebraico illustra il secondo punto fondamentale per ristabilire la pace in medio oriente, ossia la smilitarizzazione di Gaza, affinché “non venga mai più usata come base per attaccare”. Perché tale condizione si realizzi, Netanyahu propone l’istituzione di una zona di sicurezza temporanea sul perimetro di Gaza e un meccanismo di ispezione al confine tra Gaza e l’Egitto in grado di soddisfare le necessità di sicurezza di Israele e impedire il contrabbando di armi nel territorio. Il primo ministro israeliano critica l’ipotesi di una demilitarizzazione di Gaza da parte dell’Autorità palestinese, definendola un sogno impossibile, e accusa l’Anp di “finanziare e glorificare il terrorismo in Giudea e Samaria” e di “educare i bambini palestinesi alla distruzione di Israele”.
Sulla 3a condizione, la deradicalizzazione della società palestinese, Netanyahu dice che “le scuole devono insegnare ai bambini ad avere a cuore la vita piuttosto che la morte e gli imam devono smettere di predicare l’omicidio degli ebrei. Questo richiederà una leadership coraggiosa e morale“, secondo il primo ministro, che a tal proposito ricorda il “successo della deradicalizzazione” in Germania e in Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale. “Oggi, entrambi i Paesi sono grandi alleati degli Stati Uniti e promuovono la pace, la stabilità e la prosperità in Europa e in Asia”, dice Netanyahu, e non ha torto. “Dopo gli attacchi dell’11 settembre, leader arabi visionari del Golfo hanno guidato gli sforzi per deradicalizzare le loro società e trasformare i loro paesi”, continua il premier israeliano, secondo il quale è improbabile immaginare una deradicalizzazione per mano del presidente dell’Anp Mahmoud Abbas “ancora incapace di condannare le atrocità del 7 ottobre”.
Nel frattempo il leader di Hamas, Yahiya Sinwar, è riapparso in un messaggio pubblico dopo l’attacco del 7 ottobre. Sinwar ha detto che Hamas “non si piegherà alle condizioni dell’occupazione“. Da quanto riportato dal Times of Israel, Sinwar ha ammesso che Hamas è impegnato in una “battaglia feroce, violenta e senza precedenti” contro Israele, ma ha anche affermato che il gruppo sarebbe in procinto di sconfiggere l’esercito israeliano.
La speranza di una pace non muore mai, anche se le ferite sono tante, e ci vorranno anni per poter sanare lo spirito di chi, da una parte e dall’altra è cresciuto con l’odio prima che con la religione.
Sono sicuro che non vedrò nel corso della mia vita il termine di questa guerra, come tante altre in corso in varie parti del mondo, ma spero che le generazioni future conoscano la parola “guerra” associandola unicamente a qualcosa che non vedranno mai, al massimo leggendola nei libri di storia.