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Impegno per una tregua in Sudan

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Incontro di pace a Gibuti, ma i combattimenti continuano ugualmente nel sangue.


Le guerre non sono facili oggigiorno da classificare. Ma hanno un peso geopolitico e mediatico diverso. L’invasione della Russia in Ucraina e il successivo scontro tra Israele e Palestina hanno catalizzato l’attenzione globale. Ma non sono le sole guerra in atto nel mondo.

In Africa ci sono decine di conflitti che passano in secondo piano. Come in Sudan, dove da aprile l’esercito nazionale e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) hanno dato vita a un conflitto che nelle prossime settimane potrebbe finalmente cessare. Anche se non si sa per quanto.

L’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), un’organizzazione politico-commerciale composta dai Paesi del Corno d’Africa, si è assicurata l’impegno delle parti coinvolte nel conflitto ad attuare il cessate il fuoco e a tenere un dialogo politico volto a risolvere la controversia.

I colloqui di pace si sono tenuti a Gibuti, paese del Corno d’Africa, dove il capo dell’esercito sudanese, Abdel Fattah al-Burhan, ha concordato un incontro individuale col capo dell’Rsf, Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, che ha accettato la proposta di cessate il fuoco.

«Hemedti e al-Burhan hanno gettato le basi per un incontro entro 15 giorni per aprire a una serie di misure di rafforzamento della fiducia tra i due schieramenti che porti all’avvio di un processo politico», ha annunciato Alexis Mohammed, consigliere della presidenza di Gibuti. La dichiarazione non fornisce ulteriori dettagli, incluso quando e dove i due generali si incontreranno.

La guerra tra l’esercito sudanese e l’Rsf ha devastato inesorabilmente la capitale Khartoum, innescando ondate di omicidi etnici nel Darfur, nonostante i numerosi sforzi diplomatici per fermare i combattimenti.

Durante il vertice al-Burhan ha accusato l’Rsf di «attacchi barbari», ma ha confermato che l’esercito non ha chiuso la porta alla ricerca di una soluzione pacifica.

Hemedti è intervenuto da remoto alla riunione dell’Igad puntando il dito contro i lealisti dell’ex presidente Omar al-Bashir, che nell’esercito hanno una certa rilevanza. Il leader dell’Rsf, in collegamento video-web, ha chiesto una profonda riforma delle truppe e la formazione di un governo civile.

Il summit di Gibuti è stato l’ultimo di numerosi sforzi di pace per porre fine alla guerra. Un’ altro ciclo ‘altra serie di colloqui indiretti tra l’esercito e l’Rsf, mediato dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti, non ha raggiunto i risultati sperati: tra un avvicinamento diplomatico e l’altro entrambe le parti hanno proseguito con le rispettive campagne militari di morte.

La guerra in Sudan è scoppiata a causa di un piano sostenuto a livello internazionale per fondere l’Rsf con l’esercito e avviare una transizione verso le elezioni. Hemedti e al-Burhan hanno condiviso il potere dopo che al-Bashir è stato rovesciato durante una rivolta popolare nel 2019. Nel 2021, prima di arrivare allo scontro, l’esercito e l’Rsf hanno organizzato congiuntamente un golpe di Stato che ha vanificato gli sforzi per guidare il Sudan verso la democrazia.

Un paio di settimane fa alcuni testimoni hanno riferito di esplosioni nella principale raffineria di petrolio di al-Jaili, alla periferia di Khartoum, mentre un convoglio della Croce Rossa è finito sotto il fuoco incrociato nella capitale. In attesa dell’incontro chiarificatore, gli scontri proseguono.

Mi chiedo quando il mondo conoscerà la Pace universalmente in ogni angolo. Forse mai. Per un motivo o l’altro, ci sarà sempre lo spunto, la scintilla per innescare un conflitto, anche nell’angolo più remoto del pianeta.

(Fonte:Italiaoggi)

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