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Le fratture del Pd: lo scontro tra massimalisti e riformisti, il vuoto politico attuale e i 5 nodi da sciogliere

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Vedendo le fratture e le divisioni che riguardano quelle forze che si oppongono – purtroppo senza riuscirci – al governo di destra-centro nazionalista antieuropeista e populista che governa l’Italia (una definizione tipicamente sinistroide)– purtroppo anch’esso senza riuscirci – vengono i mente i campi di battaglia che insanguinano i confini dell’Europa senza alcuna prospettiva di pace.

Le spaccature più profonde sono due: quella tra massimalisti e riformisti e a sua volta anche all’interno dello stesso spazio riformista. La prima, profondissima, rimanda al nodo centrale della natura del suo principale soggetto politico: il PD. Nella loro lotta interna fratricida contro il riformismo di Veltroni e Renzi l’oggetto della contesa era uno solo: respingere la natura di partito di governo a vocazione maggioritaria forgiata da Veltroni al Lingotto per tornare ad essere una forza minoritaria “di lotta e di governo” – ecco perché tutti gli odierni dirigenti si sono recati a vedere la mostra su Enrico Berlinguer, il principale artefice di quella formula e plaudono adoranti al ritorno del “cattocomunismo” nella versione di Rosy Bindi e della Comunità di Sant’Egidio (!).

Senza alcuna prospettiva di partito di governo come si fa a sostenete l’ambizione federativa della sinistra lanciata dagli ex federatori accorsi al capezzale di Elly Schlein alla ricerca di un ruolo che realmente non ha?

Per ambire a governare stabilmente e creare un alternativa seria e vera alle destre al potere bisogna inevitabilmente sciogliere 5 nodi( ma sono “gordiani”, in realtà)

1 – Se si seguono Landini, la Bindi e i capi delle correnti che hanno condotto la battaglia contro il riformismo renziano, la risposta è quella perdente delle piazze di questi mesi nelle quali il PD sembrava una enorme SEL erede di tutti gli esperimenti minoritari e sconfitti del passato (Psiup, Lotta Continua, Pdup, Rifondazione comunista etc) impegnato a difendere il lavoro “povero” senza domandarsi perché in Italia ci siano i salari più bassi d’el continente ‘Europa e una spesa pubblica fuori controllo.

2 – Bisogna sapere da che parte si sta nel mondo. E il Pd non lo sa più da tempo come nessuno dei grandi partiti del socialismo europeo, perché intriso di antiamericanismo con venature antieuropeiste. Questa incertezza emerge di fronte al dramma ucraino o palestinese per cui se oggi il PD e i suoi alleati fossero al governo non saprebbero seguire Joe Biden e la Nato nel sostegno alla resistenza ucraina o allo sforzo israeliano di liberarsi della minaccia terroristica con quella determinazione necessaria messa in campo da Macron o da Scholz o dall’inglese Sunak, ma nemmeno dallo stesso Sanchez. In sostanza starebbero senza politica estera. E come si fa a guidare una delle principali democrazie del mondo senza sapere da che parte guardare le contraddizioni del mondo, senza sapere quali sono i suoi interessi geopolitici e annaspare nella classica difesa dei valori dell’Occidente?

3 – Bisognerebbe abbandonare Davigo, Scarpinato, Santalucia al loro destino antidemocratico e giustizialista che ha aperto al populismo e alla creazione del sistema giudiziario più inefficiente e ingiusto dell’Occidente, e riprendere la via difficile del garantismo iscritto nella costituzione. Fino a quando il PD rimarrà incollato alla sua cupa natura di partito dei giudici, sviluppata prima per combattere Berlusconi e poi dai massimalisti per combattere Renzi e i rifomisti, l’area di governo gli sarà preclusa perché riformare la giustizia è uno snodo inevitabile per potenziare la democrazia e non lo si può fare con il consenso dei magistrati giustizialisti (ci ha provato il ministro Orlando per lunghi anni senza concludere niente) che devono essere sconfitti.

4 – Bisogna abbandonare il massimalismo ambientalista e abbracciare il realismo della transizione energetica che comporta dire una valanga di si e pochissimi no. Certo se si insegue Bonelli e i dirigenti che la Schlein ha messo alla testa dei dipartimenti della direzione che si occupano del tema governare diventa un miraggio per il PD. Governare oggi infatti significa dire si al nucleare di nuova generazione, si alle piattaforme petrolifere in Adriatico, si al Ponte sullo Stretto di Messina e alle grandi infrastrutture, si alle rinnovabili, ovunque si possano impiantare mettendo a tacere inutili veti, utilizzando una molteplicità di leve (fiscali, tecnologiche etc) che favoriscano l’accelerazione della transizione.

5 –  Bisogna riconoscere che non abbiamo la Costituzione più bella del mondo.

Personalmente c’è un passo, in quella americana, di ispirazione filangeriana, e riguarda “la ricerca ed il raggiungimento della Felicità.

Il ritorno del comando massimalista sul Pd dopo la sconfitta del 2018 (più presunta che reale visto che quel 19% raggiunto da Renzi dopo due scissioni, oggi la Schlein se lo può sognare, perché non lo raggiunge nemmeno con il ritorno di quelli che se ne erano andati via sei anni fa) ha significato l’abbandono di ogni progetto di riforma costituzionale che era invece impronta genetica dell’Ulivo e del PD in nome di un parlamentarismo assemblearista , lento, che pesa negativamente su ogni istanza di modernizzazione del paese. L’assenza di qualsiasi alternativa di fronte alla confusa proposta del premierato della Meloni lascia supporre che se domani il PD e i suoi alleanti tornassero al governo tutto resterebbe paralizzato per la gioia di Pierluigi Bersani, di Repubblica e di Zagrebelsky con la sua corte di costituzionalisti sempre pronti ad interpretazioni “dinamiche”. Anche per questo gli italiani continuano a votare le destre o non andare a votare.

Scalfire questa narrazione oggi sembra molto difficile perché le fratture sono molto gravi e non si aggirano a paroline. Sono simili a quelle degli anni Venti e a quella del secondo dopoguerra. Un cambio di passo radicale che comporterebbe inevitabilmente l’abbandono di ogni prospettiva di alleanza strategici con il populismo che si fonda proprio sul mancato scioglimento di quei quei 5 nodi.

Ma anche il campo riformista non gode di ottima salute dopo il fallimento del Terzo polo, per l’incapacità di Calenda di costruirlo vittima delle sue ambizioni mal riposte. Oggi nell’opinione pubblica esiste una domanda politica la cui risposta sopravvive frammentata su tre o quattro soggetti politici che separati non sono appetibili: non sono la risposta che i cittadini riformisti si attendono. Anche qui ci vorrebbe un federatore ma in Italia non c’è per la debolezza delle diverse leadeship. Ma si sta delineando un moto “straniero” nel senso proprio del termine: dall’Europa infatti nel perimetro delle forze della sinistra liberale sta emergendo una spinta a federare le forze del riformismo italiano fuori dal Pd dove nessuno batte un colpo. Renew Europe sta tentando di spingere all’unità minima – una lista elettorale per il giugno del ’24 – queste forze perché superino veti incrociati e personalismi esasperati e per le elezioni europee creino se non una casa comune per lo meno un attendamento nel quale gli elettori italiani contrari al bipopulismo possano convintamente ritrovarsi in attesa di tempi migliori.

Utopia. Di sinistra, hanno la definizione, ma nei fatti, non mi ispirano come quando da bambino vedevo nei manifesti affissi per le strade. I principi fondatori, a mio avviso, sono ormai anacronistici e non attuali. Di attuale, forse, c’è il “poltronismo”.

Chi disse “La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”?

(Fonte:il Riformista)

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