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Filiere: aumento dei costi e conseguente modifica fornitori

E’ stato prima il Covid poi la guerra in Ucraina, ora l’inflazione. Le catene di approvvigionamento del settore industriale continuano a subire lo stress di eventi esterni di forza maggiore e i top manager in Europa – con i costi senza tregua – si vedono costretti a riformulare l’intera filiera: un imperativo che avrà più incidenza in Italia che nel resto d’Europa, secondo un report di Fti Consulting (Forensics Technologies International), società di consulenza manageriale presente in tutto il mondo e quotata alla Borsa di New York, che proprio nel nostro Paese ha aperto un anno fa la nuova divisione Corporate Finance & Restructuring. A fronte di un 65% di manager italiani che prevede un aumento dei costi fino al 10% nell’anno fiscale in corso (media maggiore di quella europea, 58%), gli intervistati della ricerca – 450 rappresentanti C-suite in Germania, Italia e Spagna – guardano a una serie di strategie volte a potenziare la resilienza delle proprie catene di approvvigionamento. Questo vale ancor più per il settore automotive, dove la preoccupazione per il rincaro dei costi è più alta e desta preoccupazione nel 70% dei manager.

Dalla ricerca effettuata l’87% degli intervistati a livello europeo stima di apportare modifiche alle proprie catene di approvvigionamento per aumentarne la resilienza e la flessibilità necessarie, mentre il 15% di questo gruppo si aspetta una completa revisione strategica della propria supply chain(catena di approvvigionamento). Per migliorare il flusso di cassa e quindi la gestione del debito, il 39% – soprattutto quelli dei settori automotive e manifatturiero – sta cercando di migliorare i termini di pagamento fornitori. Tale focus è più evidente in Germania (42%) e Spagna (41%) piuttosto che in Italia (22%). Viceversa, il 32% riferisce di aver adottato misure per ridurre i crediti. Tale approccio si è rivelato particolarmente diffuso tra le aziende del settore dei beni di consumo, in cui il factoring è una prassi comune (in Italia è disciplinato dalla Legge n.52/1991) , soprattutto tra le aziende italiane (55%) e spagnole (52%). Il 38% degli intervistati ha di fatto in programma di siglare contratti di fornitura di lungo periodo o partnership strategiche, il 37% prevede di rafforzare i rapporti con i propri fornitori e il 36% di instaurarne di nuovi in altri Paesi dell’Unione Europea, per garantire efficienza e flessibilità maggiori laddove si presenti la necessità.

Come cambierà effettivamente la catena di fornitura alla luce di queste scosse sismiche? «C’è chi si sta garantendo contratti a lungo termine o partnership(alleanze rivolte a un fine) con fornitori, il tutto con un maggiore trend a modificare il mix di bassa fornitura spostandolo più sull’area produttiva e lavorando sul nearshoring( ricollocando attività e servizi aziendali in un paese limitrofo): fino al 44% si sta muovendo in tale direzione», risponde Francesco Leone, Senior Managing Director alla guida della divisione italiana di Fti Consulting, dove lo affiancano Claudia Lotti, Barbara Biassoni e Raffaele Fiorella. «In Italia più del 30% di player sta concretamente valutando di riportare una parte rilevante del pool di fornitori in ambito più “locale” (nella Penisola o verso Paesi europei), accettando un trade-off (scelta tra opzioni contrastanti) leggermente meno favorevole sul costo del prodotto, ma decisamente più vantaggioso in termini di servizio e flessibilità». Inoltre sono già in corso consolidamenti e operazioni di fusione e/o acquisizione su fasi critiche della filiera, in maniera diretta o con partner finanziari per renderla più stabile, meno influenzata da variabili di mercato e per garantirsi fornitori certi e di alta qualità. «In Francia, la Airbus, ad esempio, ha da tempo attivato un consolidamento della filiera aerospaziale per garantirsi innanzitutto la disponibilità e controllo della qualità sui componenti, nonché per avere accesso ad ingegneri e ricercatori che permettono di continuare lo sviluppo tecnologico».

«Difficilmente il livello dei costi tornerà ai livelli pre-pandemia, ma sicuramente si andrà verso una maggiore normalizzazione, garantendo anche budget e previsioni meno incerte con dati più stabili», osserva ulteriormente Leone. «Se vogliamo, i manager dell’auto italiana sono più ottimisti rispetto agli omologhi di Germania e Spagna, perché mentre la stragrande maggioranza dei nostri (70%) vede un aumento dei costi al massimo del 10%, in Germania e Spagna il 30 e il 40% degli intervistati rispettivamente vede un aumento dei costi maggiore del 10% ».Per Fti Consulting la previsione di costi crescenti nelle diverse supply chain, con gli operatori che proveranno a ribaltare a valle l’extra-costo, unita alla ancora bassa capacità di spesa dei consumatori produrrà uno spostamento della spesa verso categorie di prodotto di fascia intermedia, «sempre che non ci siano ulteriori contributi e incentivi a supportare la crescita». C’è poi un’altra questione da affrontare: la carenza di manodopera altamente qualificata, soprattutto nei settori dell’alimentare e della moda. «Secondo noi la battaglia per i talenti sarà un tema importante dei prossimi 18-24 mesi – continua Leone -. Dal nostro report emerge come lo “shortage”(mancanza di reperibilità) di lavoratori ad alta competenza sia uno dei grossi problemi a livello di supply chain per oltre un terzo degli intervistati, e rappresenta la più grossa area di attenzione del management subito dopo l’alta inflazione. ».

(Fonte: Corriere della Sera)

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