Non è aggravata la diffamazione in chat, come invece avviene per siti Internet e social network. L’offesa, infatti, non risulta arrecata con il mezzo della pubblicità: il web e Facebook, sul punto, sono assimilati alla stampa perché l’espressione ingiuriosa può raggiungere un numero indeterminato di persone. Il gruppo WhatsApp, invece, è per natura destinato a un numero ristretto di persone che si accettano a vicenda: lo scambio di comunicazioni resta riservato o comunque non dà luogo a una diffusione incontrollata come avviene sui social. Così la Corte di cassazione, sez. 5, con sentenza 37618/2023, del 14 settembre.