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IL FENOMENO DEL QUIET QUITTING


Il dibattito sul lavoro – come quello per moltissimi altri temi – si accende periodicamente attorno ad alcune parole chiave. Parole spesso nate Oltreoceano, che semplificano e non di rado amplificano, almeno nella percezione, processi in atto. Prima è stato lo “smart working”, poi la “great resignation” e ora si parla di “quiet quitter”: persone che al lavoro fanno il minimo; che sono sì presenti e fanno quello che gli si dice, ma lavorano talmente lentamente e senza iniziativa da essere paragonati a dimissionari silenziosi.

Secondo Gallup, l’istituto di ricerca che da anni è il riferimento mondiale per il benessere sul posto di lavoro, in America i quiet quitter sarebbero addirittura la metà della forza lavoro. La restante metà sarebbe composta per il 32% da lavoratori coinvolti ed entusiasti, e dal 18% da persone così insoddisfatte da sabotare apertamente il proprio lavoro. E già qui ci sarebbe da domandarsi: si può parlare di “fenomeno nuovo” quando coinvolge la maggioranza della popolazione di riferimento?

Secondo Gallup si tratta però di un trend in crescita, soprattutto tra nuove generazioni. Negli ultimi tre anni la percentuale di under35 statunitensi coinvolti sul lavoro è scesa del 6%: la stessa percentuale con cui sono aumentati quelli apertamente insoddisfatti. Non solo: il numero di giovani lavoratori convinti che in azienda a qualcuno importi di loro è sceso del 10%. Ancora più interessante: la percentuale di giovani lavoratori “ibridi” o da remoto che si sentono incoraggiati a crescere professionalmente è calata di 12 punti, mentre addirittura oltre il 60% non capisce esattamente cosa ci si aspetta da loro.

Questi i numeri americani, già impressionanti. Non esistono dati altrettanto puntuali per l’Italia, ma guardando all’ultimo Global workplace report sempre di Gallup, si può ipotizzare che siano ben peggiori. Allora infatti risultò che in Italia i lavoratori solo “fisicamente presenti” erano addirittura il 60%, mentre quelli coinvolti appena il 4%: il dato più basso tra 38 nazioni europee. Perciò lo si può probabilmente dire con buona sicurezza: da noi il quiet quitting non è la novità, ma la norma. È lo è da parecchio tempo.

Una cosa è effettivamente cambiata, però: se ne parla molto di più. In America, dove l’hashtag #quietquitting prende piede, ma anche da noi, seppure magari non usando le stesse parole d’ordine. Proprio ieri, per esempio, ha fatto molto discutere un video in cui un ragazzo raccontava di aver rifiutato la proposta di un lavoro pagato circa 1200 euro al mese a fronte del fatto che si trovava a 40km di distanza, e quindi le spese di trasferta sarebbero state ingenti. Ovviamente, è seguita una polemica tra chi lo difendeva e chi invece lo accusava di volere tutto subito, mentre una volta si accettava volentieri di fare la cosiddetta gavetta.

Fonte: Huffpost

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