Grazie alla proposta di direttiva in discussione a Bruxelles, un tentativo di dare una risposta all’inflazione esplosa in tutti i paesi europei che sta erodendo il valore reale dei salari, è ripartito anche in Italia il dibattito sull’introduzione del salario minimo.
L’obiettivo è soprattutto quello di contrastare tutti quei casi di paga oraria che sono sotto una certa soglia.
È noto, infatti, che in molti comparti, non coperti da contratti collettivi, esistono lavoratori pagati 3 o 4 o 5 euro, compensi certamente non sufficienti a garantire autonomia e dignità alla persona del lavoratore.
La discussione, molto accesa in Italia, è però viziata dal consueto tentativo delle parti in causa di portare ciascuna l’acqua al suo mulino. Gli interessi reali dei lavoratori sembrano quasi un pretesto per affermare le proprie tesi e il proprio tornaconto. Alcuni partiti, soprattutto Pd e M5s sembrano cavalcare il salario minimo senza preoccuparsi più di tanto di quali conseguenze potrebbe provocare, soprattutto per farne una bandierina in grado di attirare consenso, e magari voti, da parte dei lavoratori con i redditi più bassi.
In Italia praticamente tutti i lavoratori (98%) e tutte le aziende (99%) sono coperte dalla contrattazione collettiva.
E visto che ogni contratto ha dei livelli minimi retributivi, si potrebbe dire che in Italia è già in vigore il salario minimo, anche se non mancano le zone grigie. Ad esempio, più della metà dei contratti collettivi registrati nell’archivio del Cnel non viene utilizzata nelle denunce mensili.
A ottobre 2020, su 854 contratti esistenti, quelli censiti dall’Inps sono stati 403.
E non è tutto, visto che i contratti continuano a crescere (siamo arrivati a 935 per il settore privato) e molti di essi (il 60%) sono scaduti. L’accordo raggiunto tra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo sulla direttiva sul salario minimo ha acceso ancor di più il dibattito sulla convivenza dello stesso con i contratti collettivi nazionali. Il testo, infatti, non impone l’obbligo di istituire per legge un salario minimo in ogni stato, ma definisce un concetto generico per il quale ogni lavoratore europeo deve guadagnare il necessario per poter vivere dignitosamente. Sono due le strade indicate per raggiungere l’obiettivo: o imponendo un limite minimo per legge o con un’ampia copertura della contrattazione collettiva.
La Commissione indica due livelli percentuali: con una copertura dei Ccnl sotto al 70% c’è un urgente bisogno di intervenire mentre se la copertura supera l’80% questa esigenza non c’è.