Nella specializzazione degli avvocati è legittimo articolare i settori civile, penale e amministrativo in ulteriori indirizzi nei quali si specifica ciascuna delle materie.
E ciò perché è escluso che il dm Giustizia che li ha introdotti sia privo di copertura legislativa sul punto. Anzi: un adeguato coordinamento fra gli studi legali dovrebbe «contribuire ad aumentare la qualità dell’offerta». È quanto emerge dalla sentenza 1278/22, pubblicata dalla prima sezione del Tar Lazio. Bocciato il ricorso proposto da alcuni ordini degli avvocati, fra i quali quelli di Roma, Napoli e Palermo. Dopo lo stop del Consiglio di Stato al regolamento avvenuto nel 2017, il ministero della Giustizia ha emanato un decreto correttivo per adeguarsi alla sentenza di Palazzo Spada. E stavolta non giova censurare gli indirizzi attraverso i quali si articolano i settori civile, penale e amministrativo, che rispettivamente ammontano a undici, sette e otto: è esclusa la carenza dei criteri in base ai quali sono stati individuati. Anzi, il Cds ha chiesto un’analisi di impatto della regolamentazione da cui emerge un disallineamento fra offerta e domanda di servizi legali, secondo il rapporto dell’Osservatorio nazionale permanente per l’esercizio della giurisdizione. E il fatto che non sia stata individuata un’autonoma specialità per determinate materie non significa che non esistano esperti nel settore, ma che il mercato non richiede che l’avvocato che opera in quell’ambito debba essere riconosciuto con un titolo. Chi è dottore di ricerca in materie riconducibili ai settori di specializzazione è equiparato all’avvocato che ha seguito i corsi per ottenere il titolo. Ma ciò non significa assolutamente che il dottorato sostituisca il titolo di avvocato. Soddisfatta Tatiana Biagioni, presidente di Agi, avvocati giuslavoristi italiani: l’auspicio, spiega, è che questo «sia l’ultimo capitolo di una lunga fase di polemiche e l’ultima tappa di una lunga offensiva giudiziaria che va avanti da troppi anni».